Fiumi di cocaina da Napoli |Condannati i "manager" della droga - Live Sicilia

Fiumi di cocaina da Napoli |Condannati i “manager” della droga

La sentenza definitiva della Cassazione. L'inchiesta Bisonte 2 aveva inchiodato i trafficanti dei Cappello Bonaccorsi.

Traffico di stupefacenti
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CATANIA – Messaggini d’amore per organizzare lo scambio della partita di droga. Sms tra “falsi” amanti per fissare il carico di cocaina. L’indagine Bisonte 2 aveva permesso di ricostruire con dovizia di particolare i canali di rifornimento degli stupefacenti del pericoloso clan dei Cappello – Bonaccorsi tra il 2009 e il 2010. Un’inchiesta che porta la Squadra Mobile a intercettare anche alcuni esponenti “scissionisti” degli Scampia di Napoli che avevano contatti con i trafficanti spagnoli. La polizia indaga mentre si consuma una vendetta di sangue e muore crivellato di colpi Sebastiano Fichera, il giovane boss degli Sciuto Tigna. Intanto gli investigatori riescono a intercettare un carico di trenta chili di cocaina destinato ai “Carateddi”, così è chiamata la frangia armata dei Cappello-Bonaccorsi. La cosca subisce una pesante perdita economica ed entrano in scena fornitori indipendenti e anche investitori. L’asse della droga Catania-Napoli-Spagna viene ristabilito. Ma nel 2013 arriva il blitz che porta tutti in gattabuia. Dopo quattro anni è arrivata la sentenza definitiva da parte della Cassazione per gli imputati processati con il rito abbreviato.

La sesta sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da Antonino Aurichella, Antonio Carbone, Giampaolo Chianese, Gennaro Daniele, Luigi De Martino, Enrico Di Palma, Concetto Anthony Gagliano e Antonio Parisi. Rigettati, invece, i ricorsi di Bruno Carbone e Santo Querulo. La Cassazione ha invece annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania la sentenza nei confronti del collaboratore di giustizia Gaetano D’Aquino, difeso dall’avvocato Sergio Luceri, e dell’imputato Giuseppe Soriato, difeso dall’avvocato Matteo Bonaccorso. Il rinvio della Corte è limitato alla rideterminazione della pena. Il pentito dei Carateddi è stato condannato dalla Corte d’Appello (pena riformata rispetto a quella inflitta dal Gup) a 8 anni e 8 mesi. Suriato invece è stato condannato dal Gup e confermato in appello a 12 anni di reclusione.

La pena più pesante che diventa definitiva è quella di Bruno Carbone, difeso dagli avvocati Maurizio Frizzi e Giacomo Pace. Il Gup di Catania Daniela Monaco Crea nel 2014 lo aveva condannato a 20 anni di reclusione, pena confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. Confermata la condanna a 13 anni e 4 mesi per Bruno Carbone. Antonio Aurichella, difeso dall’avvocato Salvo Cannata, dovrà terminare di scontare la pena a 8 anni e 8 mesi di reclusione comminata dalla Corte d’Appello di Catania che riconoscendo la continuazione con un altra sentenza ha riformato nel 2016 la condanna pesantissima a venti anni che gli era stata inflitta in primo grado.

Confermati i 7 anni e 4 mesi inflitti in appello a Gennaro Daniele, Luigi De Martino, Concetto Anthony Gagliano e Antonio Parisi, difesi dagli avvocati Salvatore Centorbi, Maria Caltabiano e Pasquale Pianese.

Sono 11 anni e 8 mesi gli anni di reclusione per Giampaolo Chianese, difeso dall’avvocato Giacomo Pace, mentre sono 10 anni quelli inflitti a Enrico Di Palma, assistito dall’avvocato Salvatore Pappalardo.

Deve scontare 15 anni e 4 mesi Santo Querulo, il fratello di Domenico Querulo diventato collaboratore di giustizia subito dopo il blitz Bisonte 2. Qualche giorno fa la Squadra Mobile di Modena, al seguito di questa sentenza, lo ha arrestato a Mirandola.

L’INCHIESTA. E’ Antonio Aurichella a ristabilire i contatti con i trafficanti napoletani dopo la morte del cognato Sebastiano Fichera. E’ il 2009. Periodicamente i corrieri della droga inviavano a Catania ingenti quantitativi di cocaina. Gli ordini – come detto – avvenivano attraverso lo scambio di messaggi telefonici criptati. Ma lo stratagemma non funziona, la Squadra Mobile il 18 giugno del 2009 sequestra una partita di 30 chilogrammi di cocaina, insieme al regalo di 4 semiautomatiche. L’operazione Bisonte, il nome lo prende dal marchio della Toyota impresso nei panetti di polvere bianca, porta al fermo di Antonio Aurichella. Con la mente criminale in carcere il gruppo si riorganizza e il rifornimento di cocaina è affidato ai fratelli Santo e Domenico Querulo, il secondo dopo l’arresto è diventato collaboratore di giustizia e le sue dichiarazioni hanno blindato il processo.


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