MESSINA. Disastro ambientale in concorso, peculato e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Sono queste le ipotesi di reato contestate dalla Procura di Messina, nell’ambito delle indagini sui lavori di messa in sicurezza dopo il movimento franoso lungo la A18 a Letojanni, al direttore generale del Consorzio Autostrade Siciliane Salvatore Pirrone, al dirigente dello stesso Cas Gaspare Sceusa e all’imprenditore di Letojanni Francesco Musumeci, raggiunti stamani da una misura cautelare interdittiva. I primi due sono stati sospesi dall’esercizio del pubblico ufficio per 1 anno ed il terzo, invece, non potrà esercitare l’attività di impresa per 8 mesi.
Al centro di due distinte attività investigative, condotte dai carabinieri della Compagnia di Taormina e dalla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura peloritana, i lavori di somma urgenza per la messa in sicurezza della carreggiata di un ampio tratto dell’autostrada A18, all’altezza di Letojanni, interessata da un movimento franoso nell’ottobre 2015. In particolare le indagini avrebbero evidenziato una serie di condotte illecite sia durante la fase di progettazione che durante quella di esecuzione degli interventi. Addirittura la barriera realizzata per il contenimento del movimento franoso sarebbe risultata totalmente inadeguata rispetto al livello di rischio idrogeologico.
Nessun controllo sarebbe stato esercitato dai due dirigenti pubblici, che avrebbero così consentito all’imprenditore di eseguire i lavori con materiali di scarsa qualità, ottenendo così ingiusti profitti e mettendo soprattutto a repentaglio l’incolumità degli automobilisti in transito in quel tratto autostradale e dei residenti di quella zona. Non solo. L’inchiesta avrebbe evidenziato come nessun progetto esecutivo dell’intervento sia stato realizzato dal Cas, stazione appaltante. Sarebbe stata la stessa impresa esecutrice ad affidare la realizzazione del progetto ad un geologo ed un ingegnere, facendo poi risultare che fosse stato elaborato dal Cas poiché redatto su carta intestata dell’ente. Con una perizia di variante, poi, il compenso dei due professionisti sarebbe stato imputato allo stesso ente dai due dirigenti indagati, incorrendo così nel reato di peculato.
In tutto sono sei gli indagati, tre dei quali non raggiunti da alcun provvedimento. Tra loro anche due professionisti, un geologo ed un ingegnere, ed un funzionario del consorzio, adesso in pensione, accusato di avere redatto atti ideologicamente falsi, in relazione ai certificati di stato di avanzamento lavori emessi tra il novembre del 2015 ed il gennaio del 2016.