Con Giuseppe Dell’Aira, Beppe per amici e colleghi, se ne è andato un uomo buono e generoso, un giurista di primo piano, un amministratore valente la cui figura resta legata alla storia di Palermo e non solo. Strappato da una malattia crudele all’amore dei suoi cari, da Avvocato distrettuale dello Stato, ha rappresentato al Maxiprocesso di Palermo e nei più importanti dibattimenti le amministrazioni statali contro la mafia. Come parte civile. Anche, per incarico della Presidenza della Repubblica, nel processo sulla cosiddetta “trattativa”.
Giusto per dire da che parte stava questo giurista che la città ha salutato nella gremita parrocchia di Sant’Espedito, a due giorni dalla scomparsa avvenuta il 21 gennaio. D’altronde, Dell’Aira si era formato seguendo il padre, alto magistrato, a suo tempo in piena sintonia con un altro giudice di gran valore, Angelo Piraino Leto, il papà di Agnese Borsellino, come rievocano i loro amici ricordando radicate frequentazioni di famiglia. E, ancor prima del Maxiprocesso, lo troviamo schierato in aula alla ricerca di giustizia per l’assassinio di Boris Giuliano, per il massacro di via Croce Rossa contro il vicequestore Ninni Cassarà e così via.
Maestro di magistrati e avvocati
Rimpianto da tanti avvocati e tanti magistrati che lo hanno apprezzato come docente ai corsi di preparazione post universitari, la sua figura richiama i ruoli ricoperti come vice-presidente del Teatro Massimo, come componente di diversi consigli di amministrazione, a cominciare da Ismett e Rimed, impegnato nel rilancio dell’Autorità portuale per la Sicilia occidentale.
Pagine di buona amministrazione firmate da un giurista che per molti resta un Maestro. Un capitolo chiave della sua vita riporta al ciclo di preparazione al concorso per uditore giudiziario, organizzato dall’Istituto Gonzaga negli anni Ottanta e Novanta. Corso frequentato dai migliori laureati degli atenei siciliani dove si sono formati più di 1.500 aspiranti. E tanti li abbiamo visti sfilare per l’ultimo saluto. Allievi allora. Adesso magistrati, avvocati, alti funzionari di polizia, dirigenti statali e regionali.
Per rendere omaggio si sono incrociati in parrocchia e nella vicina casa di Dell’Aira suoi colleghi di corso. Allora docenti come lui. E’ il caso dell’ex presidente del tribunale del lavoro Antonio Ardito o del presidente della Corte di Appello Matteo Frasca. Da una parte loro, dall’altra allievi come Manfredi Borsellino, il vicequestore che di Dell’Aira ricorda l’affetto familiare e le lezioni di Diritto amministrativo, definendole fondamentali per la sua formazione. Come fa, con un messaggio giunto alla moglie, Luigi Cavallaro, magistrato di Cassazione, caustico e profondo: “Beppe mi ha letteralmente insegnato il diritto amministrativo, che prima dei suoi corsi era un oggetto misterioso, una sorta di elenco telefonico…”.
Visione, amarezze e voltafaccia
Ne ha parlato anche il sindaco Roberto Lagalla portando il saluto della città con una immagine che esalta la qualità di Beppe Dell’Aira: la sua capacità di visione, cioè di analisi delle questioni poste pensando subito allo sviluppo, al progetto, alla soluzione… La visione che, però, è mancata a chi in qualche occasione ha preferito voltargli le spalle. E’ accaduto. E ne ha sofferto quest’uomo generoso al quale magistrati, avvocati e sindaco riconoscono il coraggio di essersi assunto in prima persona la responsabilità dei pareri dati, delle cose da fare, in tempi segnati dalla tendenza allo scaricabarile.
Dopo il 2006, rientrato Dell’Aira in Sicilia dopo una esaltante esperienza di avvocato distrettuale a Perugia, Palermo si appoggia a questo sapiente giurista. E’ il tempo del Teatro Massimo, di Ismett, Rimed, Autorità portuale per l’area occidentale dell’isola. Ed ancora la soluzione di tanti contenziosi a lui affidati perché considerato un saggio arbitro. Come accadde evitando la demolizione di un anello dello stadio della Favorita dove si abbonava per sostenere la sua squadra.
Successi tanti. Segnati a volte dall’amarezza di voltafaccia improvvisi da parte di burocrati e grand commis. Amarezze. Sappiamo come prevalga oggi un linguaggio carico di violenza. A volte con una violenza fatta di silenzi assordanti. Merce rara la schiettezza e, spesso, la riconoscenza. Assenze ricompensate dal gran bene che ha dato e ha ricevuto. Ma restano le delusioni. Registrate da lui in punta di piedi. Senza mai scuotere la porta. Sempre aggiungendo un “grazie”.
La Girgenti lontana da Berlino
Come è accaduto anche ad Agrigento. Città che ben conosce Antonella De Miro, figlia del sovrintende apprezzato per avere salvato la Valle dei Templi. Lei, oggi Consigliere di Stato, prima prefetto di Palermo, ancora prima di Agrigento, conosce la pagina opaca che ha visto Dell’Aira soffrire per le code giudiziarie del caso “Girgenti-acque”. Ma Agrigento, con tutte le sue contraddizioni, è la città dove è stato messo sotto inchiesta perfino il comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri, un colonnello silenziato per un anno e poi tirato fuori dai giudici, prosciolto, cancellando ogni sospetto. Oggi in servizio a Roma, al Comando generale, come meritava, vittima di errore. I tempi della giustizia sembrano a volte così stirati da impedirci di trovare un giudice a Berlino. E questo, miscelato con le amarezze subite da Dell’Aira, ha aggravato il quadro. Con stupore di chi osserva come un parere contestato possa diventare causa giudiziaria, provocando un corto circuito istituzionale tradotto in un’onta odiosa. Lo dicono tanti giuristi che lo hanno apprezzato. A cominciare da Giovanni Immordino, il presidente dell’Associazione degli avvocati amministrativisti della Sicilia che ne ha esaltato figura e ruolo insieme con l’attuale avvocato distrettuale dello Stato Giusy Tutino, successore di Dell’Aira.
Tutti sodisfatti dalle notizie che arrivano da Perugia dove è stata organizzata una Messa in Cattedrale per venerdì 26 e dove, a funerale in corso, la seduta del Tribunale amministrativo è stata aperta con una commemorazione di Dell’Aira, da tanti anche in Umbria ricordato come il Maestro insignito dell’onorificenza di “Grande Ufficiale” e, a fine carriera, del titolo di “Cavaliere di Gran Croce – Ordine al merito della Repubblica Italiana”. Con medaglia conferita dall’allora prefetta De Miro a Villa Whitaker per una cerimonia dove gli applausi fioccavano robusti. Come nella affollata parrocchia di Sant’Espedito.