Gatti in condominio: quali sono le regole se non basta il buon senso

Gatti in condominio: quali sono le regole se non basta il buon senso

Per evitare che assemblee diventino dei ring
L'OPINIONE
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PALERMO – “Dio creò il gatto perché l’uomo potesse accarezzare la tigre”, così diceva Fernand Mèry. Immediatamente dopo, aggiungiamo noi, il Padreterno ha suddiviso gli uomini in due categorie: i gattari e coloro che non possono soffrire la presenza dei felini.

Difficile spiegare razionalmente i motivi che animano le scelte di chi tifa per il gatto e chi non lo guarda con simpatia: nell’uno come nell’altro caso, probabilmente, gioca un ruolo decisivo il fatto che questo animale non è stato mai del tutto addomesticato. Fino a quando il contrasto d’opinioni rimane sul piano del reciproco rispetto dei gusti e delle inclinazioni altrui, non c’è alcun problema: i guai, infatti, iniziano nel momento in cui le due “fazioni” – pro e anti gatto – si trovano a dover condividere gli stessi spazi; e il terreno sul quale si misurano questo genere di confronti è, nella maggior parte dei casi, costituito dalle aree condominiali comuni.

Qui, i gattari non sapranno resistere alla loro propensione ad alimentare, accudire e incoraggiare la presenza dei felini. Gli avversari, invece, inizieranno a documentare, con tanto di servizi fotografici, la presenza di ciotole, piatti, eccetera. Non mancheranno le lamentele per i cattivi odori, o per la presenza di gatti addormentati sui cofani delle macchine o sulle selle delle motociclette. Parafulmine di queste recriminazioni sarà, naturalmente, l’amministratore del condominio. Costui se ne farà portavoce con i condomini pro felini, suscitandone la reazione indignata contro gli insensibili che non sanno apprezzare la naturale regalità del gatto e la sua utile funzione derattizzante a costo zero.

Così, le assemblee condominiali diventeranno dei ring nel cui quadrato i più accesi sostenitori delle due correnti di pensiero sapranno scontrarsi duramente. Senza mai cavare, si capisce, un ragno da un buco. Andando sul piano delle norme, possiamo intanto osservare che la riforma del Condominio, contenuta nella legge n.220/2012, non pone alcun divieto di occuparsi di animali (anche randagi) nelle aree comuni condominiali. A questo aggiungiamo che la legge n.281/1991 disciplina e tutela le colonie feline.

Naturalmente, il fatto che il legislatore protegga – anche con norme penali – gli animali randagi non può essere letto come un’autorizzazione tacita ad occuparsene senza alcun rispetto per le più elementari regole in materia di igiene o decoro. Quindi, se da un lato non potrà essere ragionevolmente proibito di lasciare del cibo per i gatti randagi, dall’altro lato non potrà nemmeno essere considerato lecito imbrattare gli spazi comuni con residui di cibo, contenitori vuoti, e via dicendo.

E’ vero che il regolamento condominiale potrebbe espressamente vietare la presenza di animali negli spazi comuni, ma se essi comunque ci sono non potranno essere rimossi, tranne che per ragioni igienico-sanitarie. Ricordiamo infatti che è vietata – e costituisce fonte di responsabilità penale, sanzionata purtroppo alquanto blandamente – la condotta di chi maltratta o uccide gli animali randagi.

Tirando le fila di questa rapidissima analisi, osserviamo che come sempre il migliore bilanciamento degli opposti interessi si ottiene, più che con le norme, col buon senso e col reciproco rispetto.

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