PALERMO – Durante una cena in una casa a Roma, in una stazione di servizio lungo l’autostrada per Taormina oppure mentre passeggiavano nella Capitale. Cambiavano i luoghi degli incontri, ma non il metodo attraverso cui venivano pilotate le sentenze del Consiglio di giustizia amministrativa.
Tre tangenti per complessivi 50 mila pagate nella vicenda del centro commerciale “Fiera del Sud” e 30 mila euro o forse più per l’elezione di Giuseppe Gennuso: è uno spaccato disarmante quello che viene fuori dal capitolo siciliano dell’inchiesta della Procura di Roma e dai racconti di Piero Amara e Giuseppe Calafiore, i due avvocati siracusani che da pedine fondamentali del sistema sono divenuti i grandi accusatori.
Si era aperto un contenzioso fra il Comune e il gruppo Frontino che realizzò il centro commerciale. La causa fu discussa davanti al Cga allora presieduto da Raffaele De Lipsis. Amara racconta di una cena organizzata a casa sua alla presenza di Luigi Caruso, l’ex consigliere catanese della Corte dei Conti anch’egli ai domiciliari, e del pubblico ministero Giancarlo Longo che nei guai c’è finito nei mesi scorsi. Fu stabilito il patto corruttivo. Calafiore consegnò i soldi a Caruso: euro affinché li girasse a De Lipsis. Per non destare sospetti il giudice avrebbe dovuto nominare un consulente che gonfiasse l’importo del risarcimento danni in favore di Open Land. Così avvenne. Fu scelto il commercialista Salvatore Maria Pace che Amara definisce “uomo di Calafiore”, marito di Rita Frontino dell’omonimo gruppo imprenditoriale.
De Lipsis presiedeva il collegio del Cga che nel 2014 accolse il ricorso dell’onorevole Giuseppe Gennuso. Fu invalidato il voto in alcune sezioni elettorali di Rosolini e Pachino dove sarebbero spartite alcune schede. Si tornò alle urne e furono eletti Bruno Marziano (Pd), Vincenzo Vinciullo (Pdl), Stefano Zito (Movimento cinque stelle), Pippo Sorbello (Udc) e Gianbattista Coltraro (Megafono). Cadde invece lo scranno per Pippo Gianni (Misto) a cui subentrò Gennuso allora di Cantiere popolare.
L’indagine è coordinata dalla Procura di Roma, ma è da Palermo che le carte sono state trasmesse ai magistrati capitolini. Nel capoluogo c’era stata una richiesta di archiviazione respinta dal giudice per le indagini preliminari che ordinò nuove indagini. Indagini che avrebbero fatto emergere la competenza romana. Da qui il trasferimento del fascicolo.