Gesip: grida e incertezze |La guerra che non si vince - Live Sicilia

Gesip: grida e incertezze |La guerra che non si vince

Una protesta a Palermo di operai Gesip e studenti

Tutti hanno qualcosa da dire. Tutti si rimpallano le responsabilità e fanno il gioco del cerino. Ma sulla vertenza della Gesip non sono ancora arrivate parole chiare e definitive. Arriveranno mai?

La vertenza della Gesip somiglia alla storia di una guerra che nessuno può vincere e che tutti dicono di avere già vinto. Meno che mai saprebbe vincerla questa politica che galleggia e, in mancanza di soluzioni affidabili, tira a campare. Le ultime notizie ci riportano al quadro di una incurabile fragilità. Resta la consueta impressione sgradevole. Che, in assenza di uscite di sicurezza, si cerchi di gettare fumo negli occhi.

I lavoratori della Gesip non sono innocenti. Sono stati consapevolmente inseriti nel meccanismo da un sistema clientelare. Hanno fatto poco per rendersi utili, per accreditare la tesi della loro indispensabilità, del loro valore aggiunto. Ci sono stati casi isolati di efficienza che non hanno capovolto una sensazione diffusa di pressapochismo nella popolazione perplessa, alle prese con una città sporca e invivibile. Le proteste di piazza hanno aumentato il divario tra le esigenze di chi ha manifestato e l’impossibile simpatia di chi, bloccato in macchina, e si è sentito due volte beffato: come cittadino e come automobilista-ostaggio.

Tuttavia, gli uomini e le donne con la pettorina non meritano la nebbia che li avvolge. Nessuno può conservare l’equilibrio del corpo e dello spirito, sottoposto all’incertezza, all’alternarsi delle voci, a un oggi di speranza, seguito da un domani di sconforto. Si obietterà che non sono i soli, che molte persone condividono la stessa crisi epocale a ogni latitudine. Non è un buon motivo per augurare il male a tutti, o per ritenere legittima la sofferenza di una categoria, perché tanto ce n’è un’altra che tribola allo stesso modo. La solidarietà al contrario è l’ispirazione diabolica di chi è convinto che si starebbe meglio, godendo del dolore universale.

Le colpe di chi si è aggregato per clientela, tentando malamente di sopravvivere e fungendo da carburante in un regime di scambio non sono paragonabili ai delitti compiuti da chi ha tirato le leve del comando. Nella stanza dei bottoni si sono succeduti in tanti e hanno commerciato col destino dei più disgraziati, con inscalfibile mancanza di pudore. La politica ha fatto il guaio. La politica ha il dovere di risolverlo, dicendo una parola chiara, sforzandosi di trovare un rimedio a lungo termine, oppure confessando la propria impotenza, per poi passare la mano.

I segnali, a riguardo, non appaiono incoraggianti. Si continua col marchingegno degli spot, dello scaricabarile, del cerino che corre fra molteplici dita, sperando che si bruci il vicino. La resa dei conti pare soltanto rimandata.


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