“Una volta un ragazzo di nome Dino entrò in un bosco nero. Era stata una farfalla a tirarselo dietro con la lusinga dei suoi colori…” Inizia così la Favola del Castello senza Tempo di Gesualdo Bufalino. Appena 64 pagine, ma assai utili per celebrare i 100 anni dalla nascita dell’autore di Diceria dell’untore. Pubblicato da Bompiani e condito dalle illustrazioni di Lucia Scuderi, il saggio introduttivo è di Nadia Terranova.
Atropo
La Favola del Castello senza Tempo, unico testo dell’autore comisano rivolto esplicitamente all’infanzia, procede “con passo onirico, attraversando prismatici paesaggi, spalancando una molteplicità di simboli”. La farfalla si chiama Atropo (come una delle tre Moire della mitologia greca) ed è un’essere della Notte che vuole far conoscere a Dino un luogo sinistro abitato dagli Immortali, anime cioè scampate al diluvio universale, ma condannate a giocare in eterno a dadi senza poter ingannare il loro carceriere, il Tempo.
La non-morte
Perché Dino? Giovane, coraggioso e innocente, tocca proprio a lui pronunciare tre parole magiche (Cugnu, Cutugnu, Bacalanzìcula) e liberare gli immortali dalla maledizione della non-morte. È dunque una favola, ma carica di figure esistenziali, a far incontrare in un tempo differito due campioni delle lettere made in Sicily, Bufalino e Terranova. Complice di ciò, come nei migliori dei racconti, è un bibliotecario di provincia.
“Questo libro un po’ dimenticato finì – racconta la scrittrice messinese – insieme alle edizioni e alle traduzioni di tutti i libri di Don Gesualdo, alla Fondazione, dove mi fu mostrato dal bibliotecario Giovanni Iemulo, che negli anni ne ha tenuto viva la memoria facendo laboratori sul testo con i bambini della provincia ragusana”. Beh, anche in questo frammento c’è una bella storia che meritava di essere raccontata.