Moralista, scettico e controcorrente. Il ricordo dai cento anni dalla nascita di Gesualdo Bufalino(Comiso, 1920 – Vittoria, 1996), il grande poeta siciliano dalle tante sfumature di artista, letterato, amante delle arti e dalla profonda umanità. Il 15 novembre del 1920, a Comiso in provincia di Ragusa, nasceva Gesualdo Bufalino, autore unico e inimitabile della letteratura del Novecento italiano. Poeta, aforista, docente di letteratura italiana ( presso l’Istituto magistrale “G. Mazzini” di Vittoria per circa 25 anni) a cui ha dedicato gran parte della sua vita; traduttore di letteratura francese, dall’età di sedici anni, con l’interesse per Charles Baudelaire, Bufalino, scrittore segreto fino al 1978, esordisce curando per Sellerio un volume di fotografie ottocentesche, “Comiso Ieri, immagini di vita signorile e rurale”, appartenute a due note famiglie del piccolo paese ragusano, gli Jacono e i Meli, con un’introduzione al paese, un’esegesi della vita rurale firmata dallo stesso professore. Si rivela al mondo letterario tardivamente, all’età di 61 anni, con il romanzo “Diceria dell’untore” (1981), grazie all’incoraggiamento dell’editrice palermitana, Elvira Sellerio e Leonardo Sciascia, suo grande amico anche lui docente, che lo sollecitano a presentare i suoi scritti
“Questo Bufalino ha un romanzo nel cassetto”, azzardò la signora dell’editoria, e a tirare fuori l’opera del suo esordio: Diceria dell’Untore.Ispirato dalla sua esperienza in un sanatorio negli anni ’40, preceduta dalla splendida introduzione a un libro di vecchie fotografie (Comiso ieri, 1978) e da alcune pregevoli traduzioni dal francese, il romanzo riscontrò un consenso unanime di critica e pubblico e gli valse il conferimento del premio Campiello nello stesso anno della pubblicazione. A Leonardo Sciascia (Racalmuto 1921-Palermo 1989 ), che lo ha intervistato alla vigilia della sua prima pubblicazione, Gesualdo Bufalino, ha confidato di avere “abbozzato Diceria dell’Untore verso il 1950, poi scritto nel 1971, con una revisione ininterrotta, fino alle bozze di stampa nel 1981. Un’idea nata dall’esperienza di malato in un sanatorio della Rocca di Palermo, negli anni del dopoguerra, quando la tubercolosi uccideva e segnava ancora come nell’Ottocento. Il sentimento della morte, la svalutazione della vita e della storia, la guarigione sentita come colpa e diserzione, la colpa involontaria d’essere vivo dove tutto muore, imbelle per forza, il sanatorio come luogo di salvaguardia e d’incantesimo, in un libro, attentamente costruito e poi subito bestseller.
Un binomio di amore-morte, memoria-scrittura, sfruttato senza posa, in tutto l’arco della produzione letteraria, letterario-musicale, teatrale e cinematografica; un genere, quello del melodramma, inteso nella sua coloritura di opera caratterizzata da un sentimentalismo esasperato, per timbro, colore, carica espressiva, che ha attratto autori di grande raffinatezza culturale e stilistica. L’inscindibilità tra memoria e scrittura è sempre presente in Bufalino, perché artefici entrambe dell’unica possibile fuga da quel presente che si avvicina sempre più alla morte. Raccontare un ricordo è l’unico modo per non morire, per non essere avvolti nell’oblio. Memoria e scrittura sono il miracolo del Bis, il Riessere: “Scrivo per ricordare, per sconfiggere l’amnesia, il silenzio,i buchi grigi del tempo, per compiere in me quello che unavolta, parodiando Shakespeare, ho chiamato il miracolo delBis, il bellissimo Riessere”. Così, superati ormai gli indugi, l’autore di Comiso, intrattiene collaborazioni anche con altre case editrici, da Einaudi a Bompiani, oltre che con una serie di piccoli e quasi artigianali editori ai quali affida la preparazione di elitarie edizioni sibi et paucis di alcune sue opere. Gli anni successivi sono caratterizzati da una frenetica e intensa attività produttiva che spazia dalla poesia, “L’amaro miele”, 1982, alla prosa d’arte e di memoria “Museo d’ombre”, 1982, dalla narrativa, “Argo il cieco”, 1984; “L’uomo invaso”, 1986; “Le menzogne della notte”, 1988, per cui riceve il premio Strega, agli elzeviri e alla saggistica , “Cere perse”, 1985; “La luce e il lutto”, 1988; “Saldi d’autunno”, 1990, dagli aforismi “Il malpensante”, 1987, alle antologie “Dizionario dei personaggi di romanzo”, 1982; “Il matrimonio illustrato”, 1989, in collaborazione con la moglie. Divoratore di libri, ricordava a memoria citazioni e passi di opere e poesie, che riteneva come soluzioni ai problemi del presente: “la cura è una sola: libri libri libri”.
La collezione, ora conservata presso la Fondazione Bufalino, istituita nel 1999 dal Comune di Comiso e dalla moglie dello scrittore, ospita quasi diecimila testi, cui si aggiungono i manoscritti martoriati di correzioni e limature, riscritture a mano e a macchina, i dischi tutti di classica e di jazz, e i ritratti con Sciascia, con Consolo, che gli faceva il suo amico Peppino Leone. Di questo uomo di sconfinata cultura, appassionato di musica jazz e cinema, dallo stile ricercato e in alcuni casi “anticheggiante”, dall’abilità linguistica esornativa, taciturno e schivo, dall’aspetto funereo, con quell’alone di timidezza e prudenza che lo contraddistingue, Leonardo Sciascia ne rimane immediatamente folgorato. Scrittore metafisico, la sua prosa è una poesia senza versi, d’inarrivabile potenza evocativa, ricercata fino al cesello, densa di metafore e ossimori, vero vezzo dell’autore, sua inimitabile cifra stilistica. Ma Bufalino non spicca solo per il tono ricco e pomposo, di un barocco mai eccessivo, ma anche per la maniera di indagare le passioni umane e di descrivere l’inquietudine e lo smarrimento del vivere con una capacità che compete solo agli scrittori più alti. Dagli incontri fatti di scambi intellettuali, conversazioni brillanti, con l’amico Sciascia, entrambi dalle radici siciliane, uno ragusano e l’altro agrigentino, nasce una profonda e sincera amicizia. Così diversi e così uguali. Differenti per carattere e prosa , ma uniti per assonanza di valori e sentimenti: “ Ho ammirato Sciascia tanto e gli ho voluto bene forse perché ci somigliavamo così poco.
Lui cercava la verità, io sono sedotto dalla menzogna. Lui aveva uno stile asciutto, da classico; io mi abbandono a tutti i vizi della spirale e del labirinto”. E ancora la passione per l’Arte a unirli. Il cinema fu uno degli interessi comuni, tanto da decidere di fare un film insieme, intitolarlo “Fatto successo” , ma alla fine mai realizzato. Formativo per Bufalino, il cinema era un universo immaginario, mezzo di emozioni forti, fonte inesauribile di sollecitazioni: “…sono nato insieme al cinema, ho seguito il suo mutarsi, mutandomi frattanto anch’io. Per me, spesso, non solo i personaggi dei film, ma anche gli attori che li incarnano, sono persone conosciute che non ci sono più o che sono invecchiate come me…”. Citazioni e richiami, suggestioni cinematografiche che si riscontrano anche nella sua narrativa che, in occasione del suo centenario dalla nascita il 15 novembre 2020, è stata approfondita per un’intera settimana, con incontri on line, dirette streaming ( fondazione Bufalino, Strada degli Scrittori) a cura di autori, critici, studiosi per indagare la cosmologia dell’opera bufaliniana. Un tributo a quel professore (morto nel 1996 in un incidente automobilistico proprio come Svevo) che praticava la scrittura in clandestinità, e che segretamente realizzava opere di alto valore letterario, nel suo modo atipico di affacciarsi nel panorama della letteratura e del successo letterario in età matura, che non è un fatto isolato nel panorama della letteratura del Novecento, ma ha coinvolto anche altri scrittori come Tomasi di Lampedusa, Italo Svevo o Dino Campana.