Nonostante siano passati ventidue anni dai tragici fatti di quel 23 maggio, e nonostante il ricordo e la memoria siano per me ancora una fonte ininterrotta di dolore, oggi, mio fratello, Giovanni Falcone vive in me attraverso gli sguardi dei tanti ragazzi italiani che scendono da quella “nave della legalità” invadendo gioiosamente la nostra città, Palermo.
Il desiderio di Giovanni, espresso più volte in circostanze private piuttosto che pubbliche, era quello di cambiare la rotta, portare la società civile verso una consapevolezza matura del fenomeno mafia. Ed il cambiamento, ne era convinto, poteva passare solo attraverso un’azione di educazione sui ragazzi. La scuola, oltre alla famiglia, i pilastri dove basare una solida coscienza critica e rettitudine morale.
Dedico agli studenti molto tempo, durante tutto l’anno scolastico. Incoraggiata proprio dal testamento morale che mio fratello, prima ancora che il magistrato, mi ha lasciato inconsapevolmente prima della sua prematura scomparsa. Un testamento che mi spinge ogni giorno a portare avanti quello che fu il suo lavoro di contrasto al fenomeno mafioso. Con altri mezzi, certamente, ognuno di noi con le proprie competenze umane e professionali. Ed è il motivo, per il quale con la costituzione della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, porto avanti le idee di mio fratello avendo instaurato un solido e costruttivo rapporto con le scuole italiane e MIUR. Questa mattina sarò al porto a dare il benvenuto alle centinaia di studenti che scenderanno da quella nave, salpata ieri da Civitavecchia dopo il saluto del nostro presidente, Giorgio Napolitano. E ancora una volta, rivedrò Giovanni rivivere in quella banchina del porto, affollata, caotica e piena di giovani speranze.