“Avevo il sospetto che Riina volesse far fuori Provenzano”
In Nino Giuffré, collaboratore di giustizia sentito oggi a Roma dai giudici del tribunale di Palermo al processo al prefetto Mario Mori e al colonnello dei carabinieri, Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato per il mancato arresto nel 1995 del boss Bernardo Provenzano, c’era il sospetto che “Totò Riina voleva far fuori Bernardo Provenzano”. Lo ha detto lo stesso pentito, ricordando un’episodio che, verificatosi nel 1990-1991, a suo dire confermerebbe questo suo sospetto. “Totò Riina, in un incontro – ha detto Giuffré – voleva sapere da me quando Provenzano usciva. La cosa mi ha lasciato perplesso. Feci finta di non capire niente e diedi risposte non risposte. Avevo il sospetto che Riina lo voleva fare fuori. Feci ‘u babbu’ e il discorso è rimasto là. Non dissi nulla a Provenzano. Certo è che in quel periodo Riina e Provenzano dicevano entrambi che si incontravano; so che erano in stretto contatto di lettere, che si scrivevano. Spesso avevano divergenze di vedute, ma tanto dibattevano fino a quando trovavano un accordo”. Il processo a Mori e Obinu è stato aggiornato al prossimo 20 ottobre. Quel giorno a Palermo saranno chiamati a testimoniare il parlamentare Luciano Violante e Giovanni Ciancimino, il figlio avvocato di Vito Ciancimino. Su richiesta dei pm palermitani Nino Di Matteo e Antonio Ingroia (alla quale si sono associati i legali di Mori e Obinu, avvocati Piero Milio ed Enzo Musco) saranno sentiti: Violante, per riferire, tra l’altro, quanto a sua conoscenza sui rapporti intrattenuti da Mori con Vito Ciancimino; Giovanni Cincimino, invece, per riferire, tra l’altro, quanto a sua conoscenza sui rapporti fra il padre Vito ed esponenti istituzionali nel periodo successivo alla strage di Capaci.
“Nella trattativa mafia-Stato, la Dc è stata sotituita da Forza Italia”
Dopo l’arresto di Vito Ciancimino “Democrazia cristiana e Partito socialista si avviarono al tramonto e in Cosa nostra nacque un nuovo discorso politico. Un nuovo soggetto politico andava appoggiato: era Forza Italia”. Lo ha detto il pentito Nino Giuffré al processo al prefetto Mario Mori e al colonnello dei carabinieri Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato per il mancato arresto nel 1995 del boss Bernardo Provenzano. L’udienza si è svolta oggi nell’aula bunker del carcere di Rebibbia di Roma davanti al Tribunale di Palermo in trasferta proprio per sentire il collaboratore di giustizia.
Sospettavamo della “sbirritudine” di Bernardo Provenzano. Questo un altro dei passaggi dell’audizione a 360 gradi oggi, fatta dal collaboratore di giustizia Nino Giuffré, rispondendo alle domande dei Pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, ha focalizzato l’attenzione sulla sua frequentazione con Provenzano (“era il mio punto di riferimento principale, anche se a capo di Cosa nostra c’era Totò Riina”, ha detto”), finendo per parlare anche degli opposti schieramenti all’interno dell’organizzazione nonché delle strategie. Punto focale è stato quando Giuffré ha detto di aver sentito “discorsi relativi a rapporti tra Provenzano e i carabinieri. Era una voce insistente. Il discorso della ‘sbirritudine’ di Provenzano nel tempo diventava sempre più attuale, prendeva sempre più piede. Certo, quando poi ci fu il periodo dei grandi arresti e solo Provenzano rimase fuori, ho sospettato anche io di lui”. Giuffré ha comunque detto di non avere mai sentito fare “discorsi di ‘sbirritudine’ su Bagarella; “Che Riina fosse confidente no, anzi ho sentito parlare che lui aveva persone nelle forze dell’ordine che gli passavano notizie”. Dopo l’arresto di Riina “la diversità di vedute all’interno di Cosa nostra – ha detto Giuffré – si manifestava in una diversa strategia: da una mafia molto appariscente così come aveva voluto Riina, a una mafia silenziosa sommersa che era la politica principale di Provenzano, quella senza rumore”.