Giulia Cecchettin, la polemica: chi ha 'ragione'?

Giulia, settantacinque coltellate e il senso comune dell’orrore

La condanna e le polemiche: chi ha 'ragione'?

Abbiamo letto delle polemiche riguardanti la condanna all’ergastolo di Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023.

La Corte d’Assise di Venezia ha riconosciuto l’aggravante della premeditazione ma non quella della crudeltà, suscitando energiche reazioni anche in ambito politico.

Va subito detto che la difesa di Turetta e la Procura di Venezia molto probabilmente, ovviamente per ragioni opposte, proporranno appello.

Prima di scrivere abbiamo doverosamente letto la sentenza perché mai si deve confondere il fondamento di un pronunciamento giudiziale emesso in forza della legge, e in ossequio alla giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione su casi analoghi, con i nostri sentimenti fortemente turbati da un gesto così efferato che ha determinato la soppressione di una giovane vita e il conseguente sconfinato dolore dei familiari e degli amici.

Un omicidio brutale

La brutalità dell’omicidio, con 75 coltellate, stride con l’idea comune di giustizia tanto da non comprendere come un atto così violento non venga definito crudele. La rabbia nasce da un senso di impotenza e dalla percezione che le norme vigenti non rispecchino il peso emotivo e morale di un tal crimine.

Ma il concetto di “crudeltà”, ai sensi dell’art. 61, comma 1, numero 4 del Codice Penale e circoscritto dal Giudice di legittimità, non è lo stesso cristallizzato nel senso comune, né il numero delle coltellate, 75, configura ipso facto l’aggravante della crudeltà. Se un tizio, esempio di scuola, uccide un bambino deliberatamente dinanzi ai genitori si può certamente definire l’atto crudele (verso i genitori) sebbene la piccola vittima sia stata colpita a morte da un solo fendente.

Può starci bene o no, ma tecnicamente efferatezza e crudeltà non sempre coincidono, tanto meno il numero delle coltellate è tout court una base di valutazione. I giudici hanno sostenuto che non ci fosse prova, oltre ogni ragionevole dubbio, di un’intenzione precisa di infliggere sofferenze aggiuntive alla vittima. Inesperienza, inabilità, piuttosto, non intento crudele.

La sentenza e l’indignazione

Questa interpretazione ha scatenato indignazione, soprattutto perché molti vedono nell’elevato numero di colpi inferti un’evidente ferocia riscontrata in parecchi casi di femminicidio. Vedremo se il giudice d’appello confermerà o meno il percorso logico e giuridico seguito in primo grado.

Ricordiamo, comunque, che al Turetta è stata inflitta la massima pena senza la concessione di attenuanti. Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha definito la sentenza “un terribile precedente”, sottolineando che non riconoscere queste aggravanti (è stata esclusa pure quella di stalking) rischia di minimizzare la gravità della violenza di genere e di ostacolare la prevenzione.

C’è pure, al contempo, chi invita a leggere attentamente le motivazioni, sostenendo che i giudici si sono dovuti attenere a criteri tecnici stringenti. Sicuramente l’impatto emotivo e sociale sta alimentando un confronto più ampio sulla necessità di un cambiamento culturale e legislativo per affrontare alla radice la violenza di genere e il femminicidio nello specifico.

Le reazioni sono comprensibili, riflettono una distanza tra il diritto e il sentire comune. La legge deve essere applicata nelle aule di giustizia rigorosamente, però il dolore e l’orrore non si misurano con il medesimo metro. E su ciò siamo assolutamente d’accordo.


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