CATANIA. Resta sostanzialmente immutata in Cassazione la sentenza d’appello per i vertici del clan Brunetto, alla sbarra per associazione mafiosa e, a vario titolo, per estorsione e detenzione di armi e munizioni nell’ambito dell’inchiesta denominata Gotha. I giudici della Suprema Corte hanno riconosciuto colpevole del reato di detenzione illegale di armi da sparo e munizioni Alfio Patanè, reato per il quale era stato assolto in secondo grado. L’imputato, condannato anche per associazione mafiosa ed estorsione, dovrà quindi scontare 4 mesi in più di detenzione. Inflitta una pena definitiva pari a 6 anni e 4 mesi.
La condanna più alta resta quella di Salvatore Brunetto, fratello del defunto boss Paolo. I giudici di Cassazione hanno confermato la pena ad 8 anni ed 8 mesi di reclusione. Dovrà scontare, invece, 8 anni di carcere Benedetto La Motta, ritenuto dagli inquirenti referente del clan a Riposto.
Rigettate non solo le richieste della difesa ma anche quelle dell’accusa. Il procuratore generale aveva infatti presentato ricorso contro la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto pronunciata dai giudici della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catania per Carmelo Pietro Olivieri, all’epoca considerato referente del clan a Giarre. Assoluzione confermata anche in terzo grado.