CATANIA – Il cortile di Palazzo Platamone ha ospitato un confronto appassionato sulla lotta alla mafia. Un dibattitto vivace, organizzato da Addiopizzo Catania, che ha visto sul palco dei relatori Nino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo, Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina, Saverio Lodato, giornalista e Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria.
“Questo non è un salotto, è un dibattito – ha esordito Chiara Barone di Addiopizzo- come associazione siamo convinti che prima di parlare bisogna agire. Noi utilizziamo in questo convegno la parola antimafia perché qui ci sono i veri esponenti della lotta alla mafia. Non è facile parlare né definire la mafia, usiamo la definizione di Giovanni Falcone, è un fenomeno umano, fatto di uomini e donne”.
Barone si concentra sull’Agenzia nazionale dei beni confiscati e sul caso Riela, poi passa la parola a Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina.
“Catania -esordisce Ardita- non ha bisogno di antimafia gridata. Il fenomeno mafioso si è riorganizzato, a Catania in passato c’è stato un rapporto stretto tra mafia, politica e magistratura”. “Questa città grazie alla gente, a Cittainsieme, tutti coloro che si ritrovavano attorno al mitico presidente Scidà, si è ribellata alla mafia. Quando morì Pippo Fava chi poteva orientare le opinioni della gente si inventò la pista personale. E invece era l’unico che parlava dei Santapaola, stesso discorso vale per l’ispettore Lizzio, lottava per un risultato, faceva la guerra ogni giorno. Una brutta sera di settembre ricevetti la telefonata: avevano ucciso l’ispettore Lizzio, aveva portato i testimoni contro un capo decina di Cosa Nostra”.
La relazione di Ardita è stata accolta da lunghi applausi del pubblico, poco dopo è iniziato l’intervento di Nicola Gratteri.
“Sono stato consulente gratuito della commissione Letta -spiega il procuratore aggiunto di Reggio Calabria- per studiare quali fossero le riforme da realizzare in Italia, penso che è il momento di tirare una linea, non abbiamo bisogno di stabilire la temperatura, ma dobbiamo trasformare le relazione negli articolati di legge”. Il magistrato ha illustrato alla platea, densa di esponenti della società civile, magistrati di primo piano come Pasquale Pacifico e Alessandro La Rosa ed esponenti delle forze dell’ordine: Alessandro Casarsa, comandante provinciale dei Carabinieri e Ferdinando Mazzacuva, capitano della Guardia di Finanza.
“Noi -ha aggiunto Gratteri- dobbiamo fare tante modifiche fino a quando renderemo non conveniente delinquere. Solo due cose fanno paura ai delinquenti: l’omicidio o l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Per tutti gli altri reati l’arrestato resterà in carcere al massimo 5 anni. Dobbiamo creare un sistema di non convenienza.
I dibattimenti sono intasati di reati bagatellari. Dobbiamo preoccuparci dell’ordinario. Siamo indietro almeno di 30 anni, andiamo ancora in udienza con i fascicoli, i carabinieri vanno in giro per l’Italia a fare notifiche. Perché devo perdere 3 mesi a fare notifiche e non posso utilizzare la posta certificata nelle notifiche alle avvocati. La posta certificata dovrebbe essere obbligatoria per tutti i cittadini, a sostegno di chi non ha soldi interviene lo Stato. Per stampare un’ordinanza di custodia cautelare ci vogliono 30 mila euro. Ho proposto di comprare 20 mila tablet, da consegnare ai detenuti per le notifiche e la lettura degli atti”.
E ancora, insiste Gratteri: “Dobbiamo eliminare i reati bagatellari, se una casa è abusiva deve essere demolita subito, dal punto di vista amministrativo. Intervenire sulla prescrizione sarà molto difficile”.
Il procuratore aggiunto di Palermo punta l’attenzione sul rapporto mafia – politica, e chiede: “Perché è conveniente delinquere? Perché la politica è assente, la mafia interviene dove non c’è l’istituzione. La mafia fa lavorare i capi di famiglia per 20 giorni anche con piccoli lavori.
Ho proposto come pena minima per i mafiosi 20 anni”.
Lo scambio politico mafioso. “La pena del 416 ter -dice Gratteri- è più bassa dell’associazione mafiosa, il messaggio è che è meno grave e facciamo sconti al candidato politico che ha rapporti con la mafia.
Beni confiscati. “L’agenzia dei eni confiscati è un carrozzone, il Prefetto Caruso non sapeva quanti fossero gli appartamenti sequestrati. Io ho proposto di assegnare subito i beni sequestrati alle forze dell’ordine. È sbagliato mettere un prefetto all’Agenzia dei beni confiscati, ci vuole un manager, un imprenditore che capisca di bilanci, le imprese dopo il sequestro muoiono perché sono fuori mercato, le casse sono spesso scontrinifici per giustificare le fatture false fatte a monte, è la forma più rozza per riciclare i fondi provenienti dalla cocaina.
La sede dei beni confiscati deve essere a Palazzo Chigi, quando c’è una crisi deve intervenire il ministro del lavoro o quello dell’economia”.
Il giornalista Saverio Lodato ha puntato l’attenzione sul contesto politico italiano: “L’attuale governo è stato battuto in arteria di giustizia, ho la netta sensazione che stiamo regolando a un gigantesco regolamento dei conti della politica con la magistratura. Giovanni Falcone parlava di menti raffinatissime di una mafia che è riuscita a farsi Stato. Vent’anni fa si trattava tra politici e mafiosi, oggi non esiste più un mafioso duro e pure che fa solo il mafioso, oggi è un ingegnere, un architetto il cui nome non risulta alle indagini. L’antimafia vera c’è da circa 30 anni è molto più giovane”.
Appassionato anche l’intervento di Nino Di Matteo, che si commuove quando ricorda la prima volta in cui ha indossato la toga, durante i funerali di Giovanni Falcone e parla del ruolo militare della mafia e dei rapporti con le istituzioni.
Poi un lungo dibattito ha acceso Palazzo Platamone. Appassionato l’intervento di Elena Fava, figlia di Pippo, il giornalista ucciso perché parlava male dei potenti della città. Elena Fava ha puntato il dito contro il mondo dell’informazione, ricordando il ruolo del padre e l’impegno della Fondazione Fava per la formazione culturale dei giovani.