"Ho perso le mie bambine | Sarò onesto per loro" - Live Sicilia

“Ho perso le mie bambine | Sarò onesto per loro”

Abbiamo raccontato una storia tragica. Forse la più tremenda del 2011. Ora riproponiamo un'intervista dell'ottobre scorso. C'è una promessa e c'è una speranza. Che vogliamo ricordare.
A casa di Francesco Cardella
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Patti e Lulù dormono il sonno dei bambini morti in un lettino di stuzzicadenti. Francesco Cardella ha disseminato le foto delle sue figlie in ogni angolo. La cornice con gli stecchini l’ha fabbricata con le dita coperte di lacrime. “Da quando non ci sono più, voglio che siano sempre con me”. Lui è libero, ha scontato la sua pena per spaccio di hashish. Ma la prigione è negli occhi, le sbarre sono nel cuore. Guardi Francesco in viso e ti viene in mente una condanna: fine pena mai.

Chi ricorda il detenuto Cardella, padre, marito e carcerato? Chi ricorda la storia di un uomo che ha perso i familiari e le bambine sue e di Antonella in un incidente sulla Salerno-Reggio Calabria, dopo un colloquio negato per un disguido? La memoria a tappe. L’incidente, il dolore, la polemica, la campagna di Livesicilia, lo spostamento di Cardella a Palermo. Morirono Francesco Laurendino, di 27 anni, Gianluca Riolo, 22 anni, Patrizia Cirlincione, la nonna, 46 anni, Patrizia Cardella di due anni. Lucia Cardella, a otto anni, finì la sua corsa in ospedale. La mamma, Antonella Laurendino è qui, nella cucina di casa, allo Sperone. L’ultima volta aveva le gambe rattrappite, inservibili. Era in sedia a rotelle per le conseguenze dello schianto. Adesso cammina. E c’è Francesco che non conoscevamo, se non di sfuggita, per averlo incrociato al funerale. Più magro di allora. Gli occhi accesi come tizzoni. Le sue parole raccontano il girone più bollente della dannazione. Il dolore di un padre rimasto orfano delle figlie.

Sto malissimo. Tutti mi chiedono delle bambine, di cosa ho provato. Vogliono sapere come sto. Io provo rabbia e amarezza. Sto realizzando solo adesso. Ogni mattina vado al cimitero dalle mie bimbe, ai Rotoli. Prego e piango. Questo dà ancora un senso alla mia vita. Sono uscito, ma mi sento rinchiuso in me. L’amore per Lulù e Patti mi permette di andare avanti. E’ accaduta una disgrazia, non è colpa di nessuno, nemmeno del personale dell’istituto di Paola che ha applicato il regolamento. Anzi, certe volte, mi sento io in colpa per le mie scelte. Se non avessi avuto problemi all’Ucciardone non mi avrebbero trasferito in Calabria. Ma il carcere ti toglie tranquilllità. Quando sei in cella con dodici compagni, può capitarti di perdere la pazienza. Se uno sbaglia è giusto punirlo, però è un essere umano, non una bestia”.

Una boccata alla sigaretta, subito spenta. Cardella continua: “Sono dimagrito ventisette chili. Ringrazio il direttore e il personale del Pagliarelli. Mi hanno accolto dopo la sciagura e sono stati comprensivi. Mi hanno aiutato come potevano. Ringrazio i giornali che hanno scritto un appello per il mio trasferimento a Palermo. Giacomo, hai una sigaretta?”. Un’altra sbuffata alla cicca nuova allungata dal fratello. “Ho ricordi fortissimi delle mie bambine. Gli abbracci, i baci, le carezze. Diventerò migliore per loro. Sarò onesto. Sto cercando un lavoro, non è facile. Se quel giorno si fosse svolto il colloquio, forse i miei parenti si sarebbero riposati e non sarebbe successo niente. O forse sì. Chi lo sa? Vi prego, seguitemi”.

Gli angoli sono pieni di foto. Patrizia e Lucia moltiplicate per coltivare l’illusione, per trovarsele dietro le spalle, sul petto, sopra e sotto. Una quantità di scatti per combattere rabbia e solitudine. “Ecco, questa è la loro stanza, non ho toccato niente. Nessuno ha toccato niente. E’ come l’hanno lasciata quel giorno”.

E quel giorno c’erano i pupazzi sul letto, in veglia dalla notte, con l’augurio di una mattina di felicità. C’erano i Barbapapà.  C’era un tigrotto a testa in giù. C’era un cane di pelouche con la maglia rosanero. E c’erano Patti e Lulù, circondate dal sole della finestra. Ci sono ancora, in un lettino di stuzzicadenti. Respirano a matita nei disegni che un cinese, compagno di detenzione del padre, ha tratteggiato con la massima delicatezza, quasi  in trasparenza. Appoggiando piano la punta nera, come per non svegliarle.

(Foto di Martina Miliani)


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