I detti e i contraddetti | di un presidente inaffidabile - Live Sicilia

I detti e i contraddetti | di un presidente inaffidabile

Da Fiandaca alle Province, passando per Bruxelles. Le parole al vento di Crocetta.

PALERMO – Su Fiandaca ha cambiato idea. Mentre in Belgio ancora attendono il suo arrivo risolutore. Peccato che la parola del presidente non sia mai l’ultima parola. Per Crocetta il professore era un “negazionista della mafia, colpevole di offuscare la memoria di Pio La Torre”. Poi lo ha nominato nuovo Garante dei detenuti, infarcendo la notizia dell’incarico con chili di zucchero (“Grazie, Giovanni”). Nemmeno la tragedia di Bruxelles, invece, ha spinto il governatore a evitare dichiarazioni poco caute: “Ho intenzione – disse poche ore dopo gli attentati – di recarmi a Molenbeeck per partecipare ad una iniziativa che verrà organizzata dal circolo del Partito Democratico a Bruxelles, per discutere con i cittadini onesti di quel quartiere e invitarli a quella cittadinanza attiva che prende le distanze dalla violenza e dall’odio, per costruire la pace e la coesione”. L’iniziativa, per la precisione, è stata organizzata il 7 aprile scorso. Come è facilmente rinvenibile sul sito ufficiale del circolo belga del Pd, e anche dalle foto che sui social network descrivono l’incontro. E di Crocetta non c’è traccia.

Sono solo gli ultimi casi, a pensarci bene. Le ultime parole al vento, sospinte dalla retorica, e dalla necessità di non sparire dai radar dei media. Svanite nell’etere, però, non resta nulla. Se non, in qualche caso, il ripensamento. Fondato magari sull’infantile speranza che nel frattempo le parole di prima siano state dimenticate.

E la teoria dei ripensamenti del presidente è davvero infinita. Persino impossibile da ricomporre, da riportare a elenco. “Non ci si può fidanzare con l’amante di Berlusconi”, disse ad esempio nei giorni in cui si ventilava una intesa a sostegno del governo col Nuovo centrodestra di Alfano. “Il partito di Mafia Capitale”, tuonò il presidente nei giorni successivi alle prime notizie sulle indagini relative al Cara di Mineo. Ovviamente ci ha ripensato. Ncd sostiene pienamente il governo di Crocetta e insieme all’Udc ha anche indicato un assessore in giunta, cioè Carlo Bermiglio ai Beni culturali.

Una giunta, per restare in tema, nella quale – stando ai proclami del presidente – non avrebbe dovuto trovare posto nessun politico, nessun deputato. Vai a guardare adesso: c’è persino il parlamentare che per mesi al governatore ha fatto lo stesso effetto dell’aglio per i vampiri, cioè quell’Antonello Cracolici che in passato desintò carezze a un presidente “inadeguato”, alla guida di una “giunta di camerieri” e di un “governo dei gabinetti e delle briciole”. Senza dimenticare, poi, gli altri inquilini di Sala d’Ercole sbarcati a Palazzo d’Orleans, nonostante il reiterato “no” del presidente: Gucciardi, Barbagallo, Micciché. Lì, attorno al tavolo dell’esecutivo, dove, stando sempre agli incrollabili diktat del presidente, non si sarebbe mai seduto un esponente dei vecchi governi. Il passato non tornerà, aveva assicurato il presidente della rivoluzione. E infatti, ecco la nomina di Giovanni Pisorio, in grado di unire, e nessuno avrebbe potuto fare meglio, le esperienze di Lombardo (di cui è stato braccio destro, segretario dell’Mpa) e Cuffaro con cui è stato addirittura assessore alla Sanità. Quella Sanità che doveva essere moralizzata – rispetto a quel passato, immaginiamo – da Lucia Borsellino.

Parole, soltanto parole. Ne sanno qualcosa gli abitandi di Niscemi. Che durante i giorni caldi della campagna elettorale verso Palazzo d’Orleans, esultavano di fronte alle rassicurazioni di quel combattivo candidato che avrebbe detto “no” al Muos. Il “no”, però, presto divenne “forse”, poi persino “sì”. Alla fine è stato necessario l’intervento dei tribunali per fermare l’avvio del mega radar americano. E la storia non è finita. E del resto, quando il presidente dice “no” non è poi davvero un “no”. Come quel veto durissimo posto agli insediamenti dell’Eolico. Su quelle pale, ovviamente, l’ombra della mafia, che andava spazzata via – in teoria – fermando tutti gli investimenti. Poi, anche lì il governo ci ripenserà. Scatenando una fuoriosa polemica con pezzi del Partito democratico. Alla fine, il solito compromesso al ribasso: sarà la Regione a ‘mappare’ il territorio per dire dove si potrà intervenire senza deturpare l’ambiente. E la mafia, allora, che c’entrava?

Ma per carità, nessuno lo faccia notare al presidente. Meglio far finta di dimenticare. Soprattutto sul terreno dei numeri, dove il governatore dà il suo meglio. Basti ricordare l’illuminante intervento a Sala d’Ercole dove riuscì a demolire persino le pochissime certezze che si possedevano riguardo alla reale entità del suo stipendio. Stipendio che aveva promesso di dimezzare. Un taglio di cui nessuno ha notizia. Già, perché i numeri sono un problema. A cominciare, ad esempio, dalle società partecipate della Regione. Quei “carrozzoni mangiasoldi” che il presidente avrebbe ridotto a non più di due o tre. Al momento, tra quelle operative e quelle in liquidazione, sono più di venti. E lo stesso era stato promesso riguardo ai costosi dirigenti generali: ne basteranno una dozzina, aveva assicurato. Sono più del doppio.

Ma tant’è. L’elenco è davvero lungo. E a volte pittoresco, folcoristico. Qualcuno ricorda i “Trinacria bond?”. No, la saga sull’investigatore segretissimo non c’entra. Era solo una delle prime “sparate” economiche del presidente. Ne seguiranno tante, in queste esperienza di governo. Come ad esempio l’annuncio di quasi tre anni fa: “Abbiamo abolito le Province”. Il disastro che è seguito alla lieta novella diffusa a reti unificate è la risposta più dura, l’esito più drammatico dell’inaffidabilità del presidente. Lo stesso che avrebbe trasformato l’Ast in una compagnia aerea (e al momento si è limitato a piazzare a capo dell’azienda un suo amico del Megafono), che aveva nominato – con tanto di enfatico comunicato stampa – Tano Grasso nuovo dirigente generale della Regione, che aveva assicurato che Battiato e Zichichi non sarebbero stati “licenziati”, che avrebbe abolito le auto blu della Regione: “Utilizzeremo il car sharing”, che avrebbe subito ricostituito l’Ufficio stampa della Regone: “Inviate il curriculum alla Regione”, aveva richiesto, scatenando la corsa inutile di tanti giornalisti), che avrebbe convinto la Fiat a restare a Termini Imerese (“Gli investitori li trovo io”, assicurò il 17 maggio del 2013). La Fiat è andata via. Svanendo d’un colpo e lasciando il vuoto. Proprio come i detti, presto contraddetti, del presidente.


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