I forestali al contrattacco:| "L'assunzione ci spetta per legge" - Live Sicilia

I forestali al contrattacco:| “L’assunzione ci spetta per legge”

Sessanta i ricorsi partiti dalla provincia di Catania. Ad essere contestata la mancata applicazione della direttiva comunitaria.

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CATANIA – Forestali sul piede di guerra in provincia di Catania. Ad essere rivendicata l’assunzione a tempo indeterminato sancita dalla direttiva comunitaria 70 del 1999. Cento ad oggi i mandati firmati per dare inizio alla battaglia legale. Sessanta i ricorsi già partiti nei confronti dell’Assessorato regionale Agricoltura e Foreste e dell’Ispettorato Ripartimentale Foreste provinciale di Catania. Esasperata da decenni di precariato, una decina di forestali di Bronte e Maniace, nell’agosto 2014, ha deciso di rivolgersi a un avvocato. L’intento trovare una soluzione a quella che ormai per loro è diventata una situazione insostenibile. Ne è nato un ricorso che col passaparola tra colleghi ha raccolto le adesioni di cento stagionali, ma nelle previsioni un altro centinaio si attende dal messinese (dove già sono venti i ricorsi avviati), mentre contatti sono stati presi anche in provincia di Siracusa.

A guidare un’azione legale che lascia intendere di volersi ampliare a macchia d’olio nelle altre province l’avvocato brontese Biagio Longhitano. Ad essere contestata è la mancata applicazione di quanto disposto dalla direttiva 1999/70/CE che dà attuazione all’accordo quadro europeo sui contratti a tempo determinato e che in Italia è stata recepita dal decreto legislativo 368 del 2001. La direttiva (e dunque il decreto legislativo), spiega il legale, sancisce infatti che “non si possono protrarre per più di tre anni o trentasei mesi anche non continuativi dei contratti a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro. Trascorso il termine, il lavoratore deve essere o licenziato con giusta causa o assunto a tempo indeterminato”. Ad oggi invece i forestali che hanno intentato il ricorso non solo hanno superato di gran lunga il limite dei tre anni o dei trentasei mesi, lavorando per la Forestale alcuni addirittura dai fine anni Settanta, ma tuttora continuano ad essere chiamati senza che il loro contratto venga trasformato da determinato in indeterminato.

Nel ricorso la possibilità prospettata è quella di porre la questione alla Corte di giustizia europea laddove “il giudice del lavoro – spiega l’avvocato Longhitano – avesse dei dubbi nell’interpretazione e nell’applicazione della direttiva e del decreto legislativo”. Ma ad oggi, continua, “la sentenza di Corte di giustizia europea del 26 novembre 2014, la cosiddetta sentenza Mascolo, sembra che abbia allargato la platea al pubblico impiego e oggi i forestali fanno parte del pubblico impiego perché sono dipendenti della Regione”.

“Vogliamo riconosciuta la nostra dignità di lavoratori onesti”, queste le parole con cui alcuni dei pionieri dell’azione legale commentano, ma sempre in modo scaramantico, la possibilità di vedersi riconosciuto il diritto a un lavoro stabile e duraturo. Tra loro anche chi si trova a un passo dalla pensione e guardando indietro ricorda il primo giorno da forestale: “Eravamo felicissimi – dice – non potevamo immaginare che le cose sarebbero andate così”. E c’è chi aggiunge “il lavoro mi piace, ma se tornassi indietro metterei la firma per l’esercito”.

Padri, mariti, nonni. Nelle loro voci “l’umiliazione delle giornate trascorse senza far nulla. E per fortuna che alcuni di noi hanno un pezzo di campagna a cui badare”. La famosa “quarta settimana”, a cui non si riesce più ad arrivare, che nelle loro famiglie, sostentate solo dai loro stipendi stagionali, dai soldi della disoccupazione e da “qualche lavoretto in nero perché si deve pure arrotondare”, diventa la “terza settimana”, quella in cui si cominciano a chiedere “i dieci euro per mettere un po’ di benzina”. Nei loro sorrisi ironici l’ansia dell’attesa quando, terminati i giorni di lavoro, si spera che il telefono squilli “così ci dicono che continuiamo”.

“Se non siamo andati in depressione è perché siamo forti”, dicono ma con amarezza. E alla domanda se credono in questa azione legale la risposta è secca “sì, ci vogliamo credere”.


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