CATANIA – La famiglia Marino a Librino per anni ha seminato il terrore. Poi l’anno scorso è arrivata la giustizia e per Raffaele, Gaetano e Alessio Marino è arrivata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’omicidio di Rosario “U Sucaru” Sciuto. Di loro si è tornato a parlare oggi: uno dei figli di Raffaele è rimasto vittima di un aggressione. Lo hanno accoltellato in pieno giorno al viale Librino: ma il movente sarebbe lontano dalle logiche della mafia.
Il nome dei Marino è frequente nei verbali di Fabrizio Nizza. Sarebbero state le sue rivelazioni a inchiodare la famiglia di Librino che avrebbe gestito per conto dell’ormai ex boss Santapaoliano anche una piazza di spaccio.
Ma andiamo per ordine. Rosario “U Sucaru” Sciuto fu freddato nell’androne di un palazzo del viale Moncada il 21 novembre 2011. Dieci colpi quelli che colpirono U Sucaru prima che potesse entrare nell’ascensore. A sparare sarebbe stato Gaetano, che aveva una relazione amorosa con la figlia della vittima (che non l’approvava). Sciuto, organico al clan Mazzei, era uscito dal carcere da qualche anno e sembrava aver abbandonato la “strada della malavita”. U Sucaru avrebbe gestito una piazza di spaccio a Librino facendo concorrenza ai Marino, referenti dai Santapaola. I carabinieri infatti concentrano subito le attenzioni sulla famiglia Marino, ma sorpresa delle sorprese le intercettazioni fanno scattare un’indagine che culmina con gli arresti (eseguiti nel 2012) dei due fratelli Alessio e Gaetano come capi del gruppo di una gang specializzata in assalti in bar, distributori di benzina, di una gioielleria. Qualche mese dopo toccò al padre Raffaele finire in carcere con l’accusa di estorsione. Il giovane figlio Alessio a marzo del 2015 è stato arrestato anche l’omicidio del rigattiere Giovanni Di Bella, che ha avuto come unica colpa quella di “alzare la voce” durante un incontro con il fratello adolescente che si contendeva con il figlio della vittima una ragazza del quartiere.
Per l’omicidio dell’esponente dei Mazzei i tre Marino sono stati già rinviati a giudizio: al padre Raffaele, 49 anni, è contestata anche l’associazione mafiosa a Cosa nostra.
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