PALERMO – Alla fine la montagna partorì il topolino. Un topo da 5 milioni di euro, quindi neanche troppo male, ma ben al di sotto degli annunci di inizio anno: alla fine l’Ars taglia i fondi per i gruppi parlamentari, ma non si allinea al decreto Monti come aveva annunciato tre mesi fa il presidente Giovanni Ardizzone. Lo stanziamento, nel bilancio interno di Palazzo dei Normanni, avrebbe dovuto subire un taglio verticale, fino ad arrivare a quota 450 mila euro, ma si è fermato molto più in alto: 7 milioni e 192 mila euro contro i 12,6 milioni dell’anno scorso, con la promessa – solo quella – di un calo ulteriore per l’anno prossimo. E c’è anche un paradosso: grazie alla proliferazione dei “mini-gruppi”, quelli che in deroga al regolamento del Parlamento possono essere composti da meno di cinque deputati, aumentano le spese del consiglio di presidenza e quelle per le consulenze.
Con un caso nel caso: del gruppo di Grande Sud, fermo a quota tre parlamentari, fa tuttora parte anche Michele Cimino, che dall’inizio dell’anno è passato dall’altra parte della barricata, all’interno della maggioranza che sostiene Rosario Crocetta. Cimino, però, si difende: “Al momento – dice – rimango in Grande Sud perché col partito c’è stata una separazione consensuale. Del resto, io non avevo apprezzato l’alleanza del partito con la Lega Nord, ma nella grande coalizione al governo a Roma la Lega non c’è più. E poi sia Lantieri che Grasso hanno votato sia il bilancio che la Finanziaria”. Pur essendo all’opposizione. Dove tornerà Cimino? “No, io apprezzo Crocetta”.
Al di là dei paradossi, i “mini-gruppi” sono tre. A Grande Sud e Pid, entrambi formati da tre deputati, si è aggiunto da qualche giorno anche quello della Lista Musumeci, composto da quattro parlamentari da quando Paolo Ruggirello ha deciso di aderire ad “Articolo 4”, la nuova formazione di Lino Leanza. Le conseguenze sono legate al Consiglio di presidenza: la prassi dell’Aula, infatti, vuole che ogni gruppo sia rappresentato all’interno del massimo organismo di Palazzo dei Normanni, con il conseguente aumento delle cariche interne. “Il punto – sibila un deputato molto ascoltato – è che rispetto alla passata legislatura abbiamo tre segretari in più”. L’Ars potrebbe trarne le conseguenze nei prossimi giorni: entro la fine del mese, infatti, è previsto un Consiglio proprio per decidere se cooptare un nuovo segretario, visto che la lista Musumeci non è più rappresentata, oppure tagliare i rappresentanti di tutti i mini-gruppi. Fra 15 giorni, perché prima bisogna capire cosa succederà: “In Consiglio aspettano che la situazione si stabilizzi”, scherza un parlamentare.
Certo è che la differenza si nota nel bilancio: la voce “Personale addetto alle segreterie particolari” di Consiglio di presidenza e commissioni è passata da due milioni e 430 mila euro a 3 milioni e 33 mila, mentre le consulenze del solo Consiglio di presidenza sono passate da 288 a 340 mila euro. “Ma quegli importi – assicura Ardizzone – sono aumentati solo perché ci portiamo dietro alcuni contratti dagli anni precedenti. Non c’entra niente con la composizione del Consiglio”. Certo è che, mentre per il Consiglio di presidenza le consulenze diventano più care, per le commissioni rimangono invariate: 90 mila euro nel 2012, 90 mila euro nel 2013.
Spiccioli, però, in confronto ai trasferimenti ai gruppi. E qui casca l’asino. Il 6 febbraio Ardizzone era stato chiaro: “Applicheremo alla lettera il decreto Monti”. Cioè la norma taglia-costi varata alla fine dell’anno dal governo nazionale: meno soldi per le indennità dei deputati, meno soldi per i gruppi e obbligo di presentare un rendiconto dettagliato. Obiettivo mancato: “Ma noi – spiega Ardizzone – porteremo in Aula il disegno di legge di recepimento del decreto Monti entro maggio. Le altre Regioni a Statuto speciale, come ad esempio Friuli e Sardegna, hanno presentato un’impugnativa alla Corte costituzionale, noi ci stiamo adeguando”.
In attesa della legge, si procede col vecchio metodo. Non 5 mila euro a deputato, per un totale di 450 mila euro, ma 7 milioni e 192 mila euro. Poco meno di 80 mila euro a parlamentare. “Stiamo studiando il modello della Regione Calabria – chiarisce il deputato questore Franco Rinaldi – per avvicinarci il più possibile alle indicazioni del governo. Vedremo di trovare una soluzione, ma di certo con 5 mila euro a deputato il gruppo non sopravvive. Se avessimo già applicato i tagli, i gruppi avrebbero chiuso il giorno dopo”. Già, perché i gruppi parlamentari hanno sul groppone un peso mica da poco: 75 dipendenti. Assunti per chiamata diretta. “Dobbiamo capire come risolvere il problema – assicura Rinaldi -. Certo è che il decreto Monti è il nostro faro di riferimento”.
Intanto, però, non partono neanche i rendiconti. Anche qui c’è qualcosa da capire: “Non abbiamo avuto il tempo di ragionarci sopra – commenta Rinaldi -. Dobbiamo stilare un regolamento che preveda quali sono le spese che possono essere effettuate. Le faccio un esempio: i capigruppo mi chiedono se possono noleggiare un’auto per gli spostamenti che servono al gruppo. Dobbiamo regolamentare la materia, poi si partirà”. Poi: nei prossimi mesi. “Ma intanto – si difende Ardizzone – abbiamo tagliato altrove: per la prima volta l’Ars riduce i costi. Risparmiamo dieci milioni”. Ma per i tagli ai gruppi c’è sempre tempo.
All'inizio dell'anno la promessa: "I trasferimenti ai gruppi saranno ridotti a 450 mila euro". Il taglio c'è, ma molto meno consistente: alle formazioni interne all'Ars vanno 7 milioni. E le spese per il massimo organo di Sala d'Ercole aumentano: tutti i partiti devono essere rappresentati, anche quelli con meno di cinque parlamentari.
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