“I conti tornano” è il titolo di una splendida raccolta di saggi di Saul Bellow. Un libro che lo scrittore americano diede alle stampe negli anni della maturità. Un’autobiografia intellettuale rivolta verso se stesso e verso l’America, un Paese con il quale il grande romanziere, figlio di emigrati e nato e cresciuto a Chicago, si sente, almeno in certi momenti, in sintonia. Direte: che c’entra Bellow con lo scalcagnato bilancio regionale? Tutto questo per dire che negli uffici della Regione i conti non tornano? Beh, vista così l’ironia sembrerebbe un po’ banale. In realtà, il tema è un po’ più complesso. Perché nel bilancio di una grande comunità – e la Sicilia conta 5 milioni di abitanti, più gli immigrati – si intravedono, ora con chiarezza, ora un po’ sfumati – i vizi e le virtù di un popolo e, soprattutto, della classe politica che l’amministra. Basta leggerli.
Anzi, basta saperli leggere tra le righe. Operazione non facile. Per provare a intraprendere questo percorso, per certi versi dantesco (molto Inferno, qualche briciola di Purgatorio e quasi assenza di Paradiso, ovviamente), ci lasciamo guidare dal ‘Servizio bilancio’ dell’Assemblea regionale siciliana.
Da un po’ di tempo a questa parte, ogni anno, la relazione alla manovra economica del ‘Servizio Bilancio’ dell’Ars rappresenta una sorta di contraltare rispetto all’impostazione, spesso immaginifica, che gli uffici dell’assessorato al Bilancio (oggi assessorato all’Economia) mettono giù ogni anno. E se nei documenti dell’assessorato all’Economia si nota lo sforzo di attenuare certe verità (per esempio, i ‘buchi’ di bilancio che ormai somigliano tanto alle voragini) e di magnificare i sogni (ad esempio, il desiderio, quasi sessuale, di mettere le mani sulle risorse Fas – Fondi per le aree sottoutilizzate – non per programmare investimenti per infrastrutture, ma per pagare precari & forestali), nella relazione del ‘Servizio Bilancio’ dell’Ars c’è, invece, il richiamo stringente alla realtà, quella vera, fatta di numeri spesso amari: dove l’amarezza è la risultante aritmetica di scelte amministrative dissennate, di anni passati e lontani, ma anche degli ultimi tre anni di governo.
Nella prima puntata di questo nostro ‘viaggio’ tra i ‘meandri’ del bilancio regionale ci siamo soffermati su quello che potrebbe succedere nel mondo politico dell’Isola dopo il 30 aprile, quando andrà in scadenza il quarto mese di esercizio provvisorio. Poi abbiamo dato la parola al governo della Regione, cercando di illustrare, naturalmente per grandi linee, la manovra economica vista da Palazzo d’Orléans, la sede della Presidenza della Regione siciliana (il tutto al netto delle vicende giudiziarie che incalzano e che, detto per inciso, potrebbero complicare ulteriormente le cose: ma questa è un’altra storia).
Oggi ci sintonizziamo su un altro ‘canale’: il bilancio reale. Niente più verità edulcorate o, peggio, nascoste. Niente più entrate ‘oniriche’. Solo fatti. Nudi e crudi. E chiarimenti. E, ancora, richieste di chiarimenti al governo, là dove il governo si abbandona ai sogni o, peggio, decide di avventurarsi lungo i sentieri scoscesi costellati dai dubbi di legittimità costituzionale.
Lungo i binari delle entrate scopriamo, tanto per gradire, “un decremento del 3,3 per cento del totale delle entrate correnti rispetto ai valori del 2010… La riduzione – si legge nella relazione del ‘Servizio Bilancio’ dell’Ars – risulta superiore alla media per le imposte erariali sul patrimonio e sul reddito (- 4,2%) e per le rendite patrimoniali e i proventi del demanio (- 8,4%), mentre si colloca sui livelli inferiori per i trasferimenti correnti (- 2,7%)”.
A pagina 9, a proposito di entrate tributarie, ecco una prima rivelazione: “Si segnala, in particolare, la contrazione di 46.000 migliaia di euro delle entrate derivanti da ritenute su interessi e redditi di capitale, che consegue dalla incorporazione del Banco di Sicilia in Unicredit banca, con conseguente trasferimento delle sede legale fuori dalla Regione”.
Nei documenti ufficiali della Regione compare sempre la parola “migliaia”, giusto per rendere ‘chiara’ l’esposizione dei conti. Si dovrebbe trattare di 46 milioni di euro in meno per il bilancio regionale. Questo perché il Banco di Sicilia – che un tempo fu la più grande banca dell’Isola – non è più di Sicilia, ma è stata incorporata da Unicredit. L’ulteriore segno tangibile di una ‘rapina’, ai danni della nostra terra, iniziata nei primi anni ’90 e completata in questi giorni.
Sempre in materia di entrate, e sempre a pagina 9, leggiamo un’altra ‘bella’ notizia: e cioè, il “forte decremento del totale delle entrate in conto capitale”, con un calo del “25,2 per cento rispetto all’anno precedente”. Dopo la precisazione, ecco la staffilata del ‘Servizio Bilancio’ dell’Ars: “Appare utile chiedere chiarimenti al governo in ordine all’appostazione contabile relativa alla valorizzazione dei beni immobili, che sembra ancora elevata nonostante la decurtazione di quasi il 50 per cento del valore stimato nel 2010”.
La ‘botta’ al governo è di quelle che fa male. Il tema in questione è l’ormai nota sceneggiata sulla ‘valorizzazione’ del patrimonio immobiliare della Regione. La storia, nella sua essenzialità è la seguente: la Regione, non avendo soldi per fare ‘cassa’, dice: è vero, sono al verde, però tengo un sacco di proprietà di grande valore: terreni, palazzi e altro ancora. E allora sapete che vi dico? Li valorizzo!
Così, ancor prima di averli ‘valorizzati’, cioè di averli venduti (fino a che punto vendere un bene significa valorizzarlo?), si fa un bel conto della serva e, oplà!, ecco il responso in anteprima (nel senso che viene fatto prima di aver venduto effettivamente i beni): dalla valorizzazione di questi beni penso di ricavare 100, anzi 200, anzi 400. E così via. E il bello è che queste cifre vengono iscritte in bilancio tra le entrate: alè!
Salvo a verificare, di solito nell’anno in corso (ché ormai il bilancio regionale non si approva più entro il 31 dicembre dell’anno precedente, ma, se va bene, nei primi quattro mesi dell’anno in corso), che, a causa di qualche ‘problemino’, i beni sono stati venduti a prezzi inferiori o non sono stati venduti affatto. Così, di solito a settembre, mese di ripensamenti, il governo si accorge che nelle ‘casse’ mancano i soldi. E si bloccano i pagamenti.
Già, le entrate fittizie. E per giunta gonfiate. “L’appostazione contabile relativa alla valorizzazione dei beni immobili” (cioè i soldi che governo regionale e alti burocrati dell’assessorato all’Economia mettono tra le entrate) “sembra ancora elevata nonostante la decurtazione di quasi il 50 per cento del valore stimato nel 2010”. Insomma, caro governo della Regione: l’anno scorso con la scusa della “valorizzazione dei beni immobili” hai messo in bilancio una certa cifra, circa 900 milioni di euro. Quest’anno siete stati costretti a dimezzarla, ma non volete ancora capire che la cifra che immaginate di mettere nel bilancio tra le entrate è ancora gonfiata. Lo volete capire o no – sembra di leggere tra le righe della relazione del ‘Servizio Bilancio’ – che non si possono più redigere bilanci con entrate tutte da dimostrare?
Però sarebbe ingiusto affermare che la Regione non ha ‘valorizzato’ almeno una parte dei propri “beni immobili”. Ci sono, infatti, beni immobili della Regione dove sono localizzati gli uffici della stessa Regione che sono stati effettivamente venduti (pardon: ‘valorizzati’). Così, oggi, per continuare a tenere gli uffici lì, la Regione paga l’affitto. O meglio, gli ignari contribuenti siciliani pagano l’affitto per tenere gli uffici regionali in locali che prima erano di proprietà degli stessi contribuenti siciliani (cioè della Regione). A che prezzo sono stati venduti?
Ieri abbiamo parlato di locali confiscati alla mafia e assegnati, dal governo nazionale con la legge finanziaria di qualche anno fa, alla stessa Regione e ad altri enti pubblici. In questi locali la Regione ha piazzato alcuni dei propri uffici. Pur avendo avuto assegnati tali immobili, la Regione (cioè i contribuenti siciliani), per cavilli giuridici, continua a pagare l’affitto. Poi ci sono altri locali, sede sempre di uffici regionali, che la Regione ha venduto e per i quali, adesso, paga l’affitto. Geniale, no?