I rom e il Comune senso del pudore - Live Sicilia

I rom e il Comune senso del pudore

La famiglia e l'abitazione contesa
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Dunque il Comune ci ha ripensato. L’attico di via Bonanno, a Palermo, non andrà più alla famiglia rom. Le proteste dei residenti hanno convinto l’amministrazione a fare dietro front. Non è la prima volta, e non solo su quest’argomento, che l’esecutivo alla guida di Palermo, si fa per dire, fa marcia indietro. I nostri amministratori, tuttavia, in questo caso hanno dato il meglio. Cercando di porre una pezza all’insurrezione popolare, che non c’era stata quando l’attico apparteneva alla mafia, non si sono resi conto che hanno creato un pericoloso precedente. Come fanno ad essere sicuri che pure gli abitanti dello stabile di corso Calatafimi, nuova destinazione della famiglia rom, non scenderanno in piazza? Nessuno si potrebbe meravigliare, meno di tutti il Comune, se ciò accadesse. E, del resto, perché non dovrebbero farlo, visto che il governo cittadino si è già abbassato come il famoso giunco la prima volta? E se anche nella nuova destinazione si verificasse una sollevazione popolare simile a quella di via Bonanno, verrebbe forse trovata un’altra casa, e poi un’altra ancora? Sempre più in periferia, magari come tappa finale il campo rom. E non è finita qui. La vicenda suggerisce, tra le altre, pure una preoccupante sottolineatura. Per dirla chiaramente, con questa scelta senza criterio si sancisce, ufficialmente, che la città è composta di aree di serie A, che basta che alzino il sopracciglio affinché l’amministrazione se la dia a gambe, e zone di serie B, che si pensa, ma chissà se andrà così, di poter controllare meglio. In parole povere, ciò che non può essere accolto nel salotto affrescato di via Libertà, può benissimo trovare accoglienza nel vecchio ripostiglio di corso Calatafimi. Insomma, da qualsiasi parte si guardi questa pietosa vicenda, davvero fa acqua da tutte le parti. E abbiamo l’impressione che ne sentiremo ancora parlare. Ciò avviene proprio nel momento in cui allo Zen è in corso la guerriglia per lo sgombero degli abusivi che hanno occupato illegalmente case già assegnate ad altri. Da una parte si sposta, come una pedina inanimata sulla scacchiera del disagio, chi ha ottenuto una casa nel rispetto di una graduatoria, mettendosela, di fatto, sotto i piedi, dall’altra si allontanano coloro che hanno occupato case non tenendo conto di una lista d’attesa. Circostanze che ci dicono tanto circa l’assenza di una politica sull’emergenza abitativa da parte di questa amministrazione. Ma non c’è solo questo e non riguarda solo l’oggi. La politica residenziale e urbanistica popolare degli ultimi decenni, che ha creato dei veri e propri ghetti dove trasferire tutto il disagio sociale, ha prodotto vere e proprie enclave di illegalità. Non ha diminuito, anzi aggravato, il disagio e ha reso più difficile la vita in quartieri già problematici. Tale politica abitativa, che ancora allo Zen e in altri posti si continua a perpetrare, creando dei non luoghi, deve essere del tutto abbandonata. Perché si continuano a costruire e assegnare case allo Zen? Quale poteva essere e qual è l’alternativa percorribile? Si può dire in due parole. Se le persone bisognose di una casa si fossero integrate singolarmente nel tessuto cittadino, nei luoghi dove già esisteva una socialità in grado di rendere migliore la loro vita, la storia di questa città sarebbe stata diversa e migliore. Si sarebbero tolti alle cosche dei serbatoi sempre pieni di manovalanza e di consenso. Ma è una politica che ha bisogno di una mano ferma. Non quella tremolante che cerca di trovare il muro basso di corso Calatafimi cui affibbiare ciò che il muro alto di via Bonanno non vuole. Un’amministrazione forte del primato della politica e del consenso, aspetti che evidentemente difettano a chi guida da un decennio la nostra comunità, avrebbe avuto la forza di far rispettare la propria scelta ai protestanti di via Libertà. Non è andata così.


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