I soldi del Recovery, il Sud e il rischio del gioco delle tre carte - Live Sicilia

I soldi del Recovery, il Sud e il rischio del gioco delle tre carte

L'intervento straordinario non può ignorare che esistono due Italie o il Mezzogiorno morirà

Mentre quotidianamente si aggiorna la tragica contabilità dei morti da Covid, c’è un conteggio su un altro tipo di mortalità che si va aggiornando con altrettanta drammaticità, quello del lavoro. Nelle scorse settimane l’ufficio studi di Confcommercio ha diffuso un dato che gela il sangue e che è passato quasi inosservato in mezzo al bombardamento di informazioni sull’emergenza sanitaria: 390.000 imprese italiane hanno chiuso nel 2020. Un’ecatombe. E di queste, 240.000, esclusivamente a causa della pandemia. L’emergenza sanitaria – con tutte le conseguenze che ne sono derivate, restrizioni e chiusure obbligatorie incluse – ha acuito drasticamente il tasso di mortalità delle imprese.

Mentre si resta appesi alle variazioni cromatiche tra giallo, rosso e arancione per cercare di fronteggiare l’emergenza sanitaria, con risultati in questi ultimi mesi non proprio incoraggianti, il dramma dell’economia prosegue e un vaccino in questo caso non si è ancora trovato. Si spera nel Recovery fund, si tampona con i così detti ristori (chiunque ha un’impresa potrà spiegarvi numeri alla mano che si tratta di poco più che acqua fresca) e con la cassa integrazione, finché dura, ma ogni mese che passa per molte imprese cercare di sopravvivere aspettando che le nubi si diradino si fa sempre più complesso e le riserve a cui attingere si assottigliano.

Si fa presto a dire ripresa

Il 2021 doveva essere l’anno dell’uscita dal tunnel. L’andamento della pandemia e le sue nuove ondate stanno allontanando però la luce in fondo al tunnel. E le prospettive in questo senso sono più grame al Sud che al Nord. Per il 2021 e 2022 la ripresa del Mezzogiorno si prospetta sensibilmente più debole (rispettivamente +1,2% e +1,4%) rispetto al Centro-Nord (+4,5% e +5,3%). Così il Check-up Mezzogiorno sulla congiuntura del 2020, elaborato da Confindustria e SRM (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) uscito nei giorni scorsi. La Regione con un pizzico di ottimismo in più ha previsto nel Defr per il 2021 una crescita del 7,6, del 4,7 per il 2022 e del 3,3 per il 2023. Ma la ricchezza bruciata in questi mesi ha riportato indietro la Sicilia di tre decadi.

I posti di lavoro bruciati

In Sicilia si sono già polverizzate decine di migliaia di posti di lavoro. Tra i contratti a termine non rinnovati e i dipendenti delle aziende che hanno chiuso i battenti, l’ecatombe è già cominciata, colpendo maggiormente, ha illustrato il rapporto del Diste, le donne lavoratrici. E quando cesserà il blocco dei licenziamenti l’ondata potrebbe travolgere tutto. Facendo affogare un territorio che era già povero e arretrato prima della pandemia. Impossibile con queste premesse arginare il fenomeno dell’emigrazione che è già in atto da anni e che sta lentamente svuotando l’Isola deprivandola del futuro.

Due Paesi, due ricette

Sarebbe quanto mai scellerato pensare di affrontare questa emergenza senza precedenti dimenticando che l’Italia, dal unto di vista economico perché è di economia che stiamo parlando, non è un Paese ma sono due. Perdere di vista la differenza abissale tra il Mezzogiorno e il resto della nazione nel progettare interventi anticiclici che aiutino gli italiani finiti in gionocchio a rimettersi in piedi sarebbe non solo cieco ma disonesto. Qualche giornale meridionale ha definito l’eventualità “la rapina del secolo”.

Chiarezza sui numeri

Ieri si è appreso che la quota della parte investimenti per il Sud, trasversale a tutte le missioni e i progetti previsto dal Piano Recovery del governo italiano, ammonta al 50 per cento. Sarebbe più che giusto per cercare di accorciare3 lo spaventoso gap infrastrutturale tra le due Italie. Ma sui numeri va fatta assolutamente chiarezza. Ieri tre deputate siciliane di Forza Italia, Bartolozzi, Prestigiacomo e Siracusano, hanno contestato al governo di attuare “una vera e propria presa in giro nei confronti delle Regioni meridionali. L’esecutivo – affermano – , per aumentare le quote di risorse assegnate al Sud accorpa anche i fondi di coesione, soldi comunitari già stanziati – attraverso i piani operativi nazionali (PON) e i piani operativi regionali (POR) – per Sicilia, Calabria, Sardegna, Molise, Abruzzo, Basilicata, Campania e Puglia”. Insomma, l’opposizione teme che sul Sud si giochi alle tre carte: “Secondo il piano di Palazzo Chigi – attaccano le forziste -, al Mezzogiorno andranno circa 4,5 miliardi per strade, autostrade, ponti, ferrovie; alle Regioni settentrionali la cifra monstre di 74 miliardi di euro”.

Tempi stretti

Bisognerà capire meglio cosa e quanto spetterà davvero al Sud. E soprattutto vigilare su tempi e modi dell’attuazione degli interventi. I governatori delle regioni meridionali, a prescindere dai colori politici, hanno dimostrato di vigilare con una serie di uscite pubbliche sul tema in queste settimane. Il messaggio pare arrivato e il governo centrale offre rassicurazioni. Sono aumentati, parrebbe, i fondi destinati al Sud per la fiscalità di vantaggio e per l’Alta velocità. Il tempo intanto scorre. E la devastazione dell’economia meridionale fondata sul terziario e quindi più esposta ai danni duraturi della pandemia continua. Insieme alla contabilità di morte, delle attività economiche, che scorre parallela a quella tragica delle persone uccise dal virus.

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