PALERMO – Appello respinto e condanna al pagamento delle spese processuali. Un esito che riguarda spesso – è la dialettica della giustizia – gli imputati, ma raramente le parti civili. Specie se sono vittime del racket e hanno denunciato gli estorsori, consegnando una registrazione che inchioda il boss.
Lo scorso 20 giugno la Corte di appello di Palermo ha condannato quattro imputati, fra cui il boss di Alcamo Ignazio Melodia. Un capo di imputazione ricostruiva il tentativo di estorsione ai costruttori Luigi Cacioppo e ai figli Giuseppe, Alessandro, Gianfranco e Mauro. Nel passato di Luigi Cacioppo c’è una condanna per avere riciclato i soldi della mafia.
Nell’aprile del 2015 va a fuoco un box di proprietà del figlio Giuseppe. I Cacioppo cercano di nascondere le bottiglie con il liquido infiammabile. Preferiscono risolvere la questione in altra maniera e vanno a bussare alla porta di Ignazio Melodia. Lo incontrano in un vivaio. Melodia, così dice, nulla sa dell’estorsione: “… vi parlo che non ci sarebbe neanche di bisogno di dirlo… ma vi parlo come un fratello… perché se no me lo avrebbero mandato a dire a me… prima che si muovono la cosa la devono venire a dire a me… e io ti sto dicendo che di questo fatto dell’incendio… lo sto sentendo ora dai tuoi figli…”. Insomma è lui il capo.
I Cacioppo riferiscono un altro episodio. Una persona, che sarebbe stata poi condannata, aveva avvicinato Luigi al bar. Pretendeva dei soldi per aiutare Ignazio Melodia. Stavolta c’è davvero la regia del boss di Alcamo, che tutti chiamano ‘u dutturi per il suo titolo di studi.
Il dialogo al vivaio viene registrato con il telefonino da uno dei figli di Luigi Cacioppo che, un anno e due mesi dopo, nel giugno 2016, lo consegna ai carabinieri. La registrazione entra nel processo. I Cacioppo vengono convocati innanzitutto davanti al tribunale di Trapani che giudica e condanna uno degli estorsori. Nella sentenza il collegio presieduto da Paolo Grillo sottoline il coraggio dei Cacioppo di superare la logica mafiosa che aveva dominato fino ad allora in famiglia. Tutti, seppure con cifre diverse, vengono risarciti.
Per gli stessi fatti il troncone principale del processo, quello in cui è imputato Melodia, viene celebrato in abbreviato a Palermo. Il giudice per le indagini preliminari Filippo Lo Presti condanna gli imputati, ma riconosce un risarcimento solo a Giuseppe e Gianfranco Melodia. Il padre Luigi e gli altri fratelli vengono esclusi perché non avrebbero subito né danni né minacce.
È una distinzione che non convince i Cacioppo, i quali fanno ricorso in appello. Chi ha ottenuto un risarcimento in primo grado lo considera esiguo, chi è stato escluso ritiene di meritarlo. E siamo al 20 giugno scorso, quando la Corte di appello presieduta da Antonino Napoli, rigetta l’appello e condanna le parti civili al pagamento delle spese processuali.
Per alcuni, sopratutto i legali di parte civile, è un messaggio negativo, una ingiustizia per chi ha avuto il coraggio di denunciare, di registrare un mafioso e di venire in aula a ribadire le accuse. Un segnale di assenza che lo Stato in terra di Sicilia, e di mafia, avrebbe dovuto evitare. Per altri, tra cui i difensori degli imputati, è una valutazione rigorosa. L’ombrello delle parti civili per anni è stato ampio. Vi hanno trovato riparo tante, troppe persone. Ben venga il rigore.