“E se volessi andare in Africa?”. Così Vito Ciancimino rispondeva al suo avvocato, Giorgio Ghiron, quando questi gli contestava l’illogicità di chiedere un passaporto. “Aveva una carta d’identità valida per l’espatrio, se voleva andare in Svizzera o in Francia dove spesso si recava, lo poteva fare”. Al processo contro il generale Mario Mori e il colonnello dell’Arma, Mauro Obinu, per favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano, è il giorno dell’avvocato Ghiron, che colloca i primi contatti con gli ufficiali del Ros nei mesi di maggio-giugno 1992. Oggi, però, è anche il giorno di un altro legale, Basilio Milio: suo padre Pietro è morto quasi 15 giorni fa e gli ha lasciato in eredità il processo. Il presidente della corte, Mario Fontana, ha fatto tenere un minuto di raccoglimento condito dalla commozione dell’altro legale, Enzo Musco, e dalla stretta di mano fra il pm Nino Di Matteo e Basilio Milio.
Lipari. Oggi, però, era anche il giorno di Pino Lipari, il geometra “commercialista” di Provenzano, che nel 2002 aveva parlato ai magistrati palermitani della trattativa venendo, però, bollato come depistatore. In permesso dagli arresti domiciliari è arrivato, si è seduto sul banco dei testimoni e non ha recitato la formula: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Chiuso. Pino Lipari è un uomo anziano e le sofferenze del carcere le porta in viso, forse non vuole più avere a che fare con queste storie.
Poi è il momento di Giorgio Ghiron, 77 anni, legale di Vito Ciancimino sin dal 1980, chiamato a fare luce sulla questione del passaporto richiesto dall’ex sindaco di Palermo che all’avvocato pareva una mossa sbagliata, “era come stuzzicare le autorità”. “Mi disse facciamo questa istanza, è stato 3-4 giorni prima del suo arresto del 19 dicembre 1992 – continua Ghiron – e mi spiegò che si poteva presentare perché così gli era stato consigliato”. Per questa ragione l’avvocato al momento dell’arresto di Don Vito ha pensato che fosse caduto in trappola. Ma Ghiron dichiara di non sapere da chi fosse giunto il consiglio, “Ciancimino era una tomba – dice – e rispondeva raccontando barzellette o dicendo ‘ognuno sape i cose sue’”.
L’avvocato Ghiron dice la sua nella ricostruzione dei contatti fra Don Vito e i carabinieri del Ros. “Un giorno che sono andato a trovarlo ho visto il capitano De Donno uscire da casa sua. Allora ancora non lo conosceva e mi stupì di vedere uscire da casa di Ciancimino qualcuno che non conoscevo. Poi ho visto la sua foto nei giornali e riconosciuto il capitano De Donno”. Sulla collocazione temporale dell’incontro l’avvocato si dice “assolutamente certo” che sia avvenuto uno o due mesi prima della sua partenza per le vacanze a Singapore, datata 5 luglio. Su questo particolare è nata una forte diatriba fra accusa e difesa. L’avvocato Ghiron, infatti, ammette il suo difetto di memoria. Dichiara di conoscere personalmente Mario Mori ma non ricorda di cosa parlavano nei loro incontri: “Nel 2000 ho subito due interventi al cuore e nel secondo mi è stata fatta un’anestesia che mi ha parzialmente cancellato la memoria”.
Così la difesa si appunta su questo difetto per rendere discutibile la sua testimonianza. Momenti di tensione in aula, con il pm Antonio Ingroia che accusa la difesa di suggestionare il teste che, però, ci mette del suo. Parla di un colloquio con Vito Ciancimino in cui questi era raggiante per aver ottenuto 4 ore di libera uscita al giorno. Lo colloca nel 1992 quando Don Vito non aveva alcuna misura restrittiva. E alla fine, rivolto al presidente della corte, ha candidamente ammesso: “Le questioni temporali posso equivocarle”. Ma non quella di aver visto De Donno a casa Ciancimino nel maggio-giugno 1992, su questo non ha alcun dubbio ne vuoto di memoria.
Bene, per lui e per la Verità.
Poiché questa ulteriore assoluzione dà la stangata definitiva alla “trattativa”, verrà certamente proposto il ricorso per Cassazione.
Forse il dott. Scarpinato dovrebbe lasciare perdere il suo recente interesse per l’economia e occuparsi più di diritto… in entrambi i casi il risultato è pessimo e gli ricordo che per ogni ora persa a seguire le sue ambizioni personali ci sono servitori dello Stato, sui Nebrodi come nell’agrigentino, che avrebbero bisogno di più mezzi e più collaboratori…
E credo che un pensiero di stima e di affetto vada rivolto a Piero Milio, padre dell’attuale difensore, che fu avvocato del generale Mori.
il cittadino non puo’ che gioire della assoluzione dei due ufficiali dell’Arma dei Carabinieri,
pregiata Istituzione della Repubblica che ne incarna i valori nel territorio.
Scriveva Giovanni Falcone:
“Professionalità significa innanzi tutto adottare inziative quando si è sicuri dei risultati
ottenibili. Perseguire qualcuno per un delitto senza disporre di elementi irrefutabili a
sostegno della sua colpevolezza significa fare un pessimo servizio”.
Ecco quello che hanno fatto negli ultimi anni Scarpinato&Co, un pessimo servizio.
Risonante, tamburi: salutate, Aste e vessilli. Onore, onore ai Prodi Carabinieri
Può gioire del fatto che non abbiano commesso reati secondo i giudici. C’è mano da gioire del fatto che dal processo è emerso che pur avendo fatto scappare Provenzano, oppure non perquisito il covo di Riina senza nemmeno presidiarlo ( vedi il caso del famosissimo Ultimo), questi alti ufficiali hanno fatto carriera quanto è più di altri colleghi che “errori” così grossolani non ne hanno mai commessi. Questa è storia provata dagli atti
Certo, è più facile (e fa molto più “scruscio” mediatico) dare addosso a galantuomini che perseguire i veri malacarne. Oltretutto, con i primi – a differenza che con i secondi – non si rischia alcuna ritorsione…
«Altro che medaglia al merito per avere rinchiuso nelle patrie galere il capo dei capi: quel successo ha regalato al servitore dello stato Mario Mori nient’altro che un inferno». Appunto. E nessuno lo può né potrà mai contestare: essendo la verità dei fatti. E allora perché questa condanna, senza l’avviso di garanzia e senza appello, di un servitore dello Stato, all’inferno? Già perché? La ragione si smarrisce. S’impalla. Ma da quell’inferno pullulante di demoni, arriva una domanda diabolica. Questa. Non è che questo regalo, ben confezionato, dell’inferno, al servitore dello stato Mario Mori, è il prezzo da pagare per aver messo le manette e tratto in carcere e fatto condannare ‘nientemeno che Totò Riina, il capo dei capi’ ? Che diabolica insensatezza!
Ma i commentatori credono veramente:
CHE SI ABBANDONI LA SORVEGLIANZA DELLA VILLA DI RIINA PERCHE’ “ERA LA CASA E NON IL COVO”,
CHE SI FA POSSA SPARARE AD UN PASSANTE SUL POSTO DOVE ALTRI CARABINIERI ASPETTANO DI POTER ARRESTARE SANTAPAOLA,
CHE SIA NORMALE NON RIUSCIRE AD ARRESTARE PROVENZANO CON UN INFILTRATO CHE LO INCONTRA, PER SEMPLICE INCAPACITA’?
Siete incredibili!!!