PALERMO – L’allarme era stato lanciato in occasione dell’ultimo giudizio di parifica della Corte dei conti. E le parole, in particolare quelle contenute nella requisitoria del Procuratore generale, erano state molto dure: la gestione del demanio marittimo siciliano “è ben lungi – diceva Pino Zingale – dal potersi considerare soddisfacente e lascia trasparire, ad avviso di questa Procura Generale, seri profili di illecito erariale per i quali sarà attivata la locale Procura Regionale per le valutazioni di sua competenza”.
E a quell’allarme è seguita l’indagine della Procura contabile. Una attività istruttoria compiuta con la collaborazione della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza. Obiettivo dei magistrati della Corte dei conti è quello di verificare innanzitutto la quantificazione dei canoni demaniali, che in qualche modo sarebbero stati sottostimati. Altro tema è la mancata riscossione dei canoni stessi. Una inefficienza che si trascinerebbe da diversi anni e che è stata, in qualche modo, denunciata anche oggi a Palazzo dei Normanni.
Il “caso demanio” è esploso anche all’Ars, dove una riunione congiunta delle commissioni Ambiente e Agricoltura presiedute rispettivamente da Giusy Savarino e Orazio Ragusa ha acceso di nuovo i riflettori su un possibile “buco nero” da 250 milioni: i soldi cioè che la Regione avrebbe dovuto incassare dai gestori delle attività presenti sul demanio e che invece nelle casse regionali non sono mai finiti.
Un esito sotto certi aspetti prevedibile, stando a quello che era stato raccolto sempre dalla Corte dei conti che aveva chiesto lumi, in quei giorni, agli uffici della Ragioneria generale: sono “in larghissima parte ignoti alla Regione – si leggeva nella requisitoria del Procuratore – il numero delle concessioni ed i relativi titolari in essere nel 2016, con l’indicazione di elementi assolutamente approssimativi e privi di certezza giuridica se non con riferimento alla situazione (risalente) in essere al 31 dicembre 2011”. La Regione quindi non era nemmeno a conoscenza dei titolari delle concessioni stesse, fin dal 2012 quando si sarebbe interrotto il censimento. Ma c’è di più.
La somma iscritta in bilancio come “entrata” frutto appunto delle concessioni, secondo la Procura contabile “non trova riscontro in dati certi ed attendibili derivanti dalla ricognizione delle singole concessioni esistenti, dato quest’ultimo che, per espressa ammissione dello stesso personale preposto al ramo, non risultava e non risulta in atto in possesso dell’Amministrazione”.
E così, ecco configurarsi la voragine del demanio. Una perdita nel bilancio regionale che sarebbe anche stata quantificata: “Stiamo parlando – spiega Savarino – di circa 50 milioni di euro l’anno: una cifra vicina ai 250 milioni di euro complessivi”. Soldi mai visti, che avrebbero certamente sistemato un po’ di problemi nei dissestati capitoli del bilancio regionale.
E del resto, la storia del demanio siciliano è storia di un caos, anche normativo. La Regione infatti aveva inizialmente recepito la normativa nazionale nel settore. Poi, sulla base della competenza esclusiva riconosciuto dallo Statuto, ha provveduto a quantificare da sé i canoni. Nel 2005, così, la Sicilia fissava in 6 anni la durata dei canoni, ma nel 2009 entrava in vigore il “rinnovo tacito” delle concessioni. Sempre in quell’anno veniva emanata la direttiva europea recepita dall’Italia: è appunto la “Bolkestein” che sancisce, di fatto, la necessità di legare le concessioni a procedure ad evidenza pubblica. Una direttiva sulla quale però si allunga qualche dubbio: è applicabile anche per le concessioni demaniali? La Bolkestein infatti apre il mercato dei “servizi pubblici”, ma la gestione dei beni demaniali rappresenterebbe un’attività privata svolta su bene pubblico.
Scattava intanto, un’altra proroga alle concessioni, prolungate fino al 31 dicembre del 2015. Nel frattempo la Regione, come detto, ci mette del suo. Il governo Lombardo dal primo gennaio del 2012 chiude la convenzione con la Capitaneria di porto per la gestione del demanio. Ma un censimento non esiste e anzi, tutto si complica. Una nuova proroga alle concessioni, fino al 2020 poi, arriverà da parte dell’assessorato regionale al Territorio, nell’agosto del 2014.
Adesso però i tempi stringono e, da qui, la scelta dell’Ars di lavorare a una “mozione che impegni il governo nazionale a varare una celere riforma della normativa sul demanio”, ha ribadito Savarino. Ma intanto, qualcosa si è già mosso nell’ultima Finanziaria, dove il governo regionale ha di fatto confermato, eliminando alcuni passaggi, la norma prevista dalla legge di stabilità del governo precedente, secondo cui i beni demaniali marittimi in precarie condizioni “possono essere concessi a titolo oneroso con procedure ad evidenza pubblica, per un periodo non superiore a cinquanta anni”. Ma la direttiva europea potrebbe cambiare le carte in tavola. Nel frattempo, la Corte dei conti ha aperto dei fascicoli sullo scandalo del demanio. Un “buco nero” da decine di milioni di euro.