CATANIA – “Abbiamo avuto le dichiarazioni in mano, che c’è le ha date un avvocato […] non ricordo ora quale avvocato […] erano un sei, sette fogli, a leggerli era Sebastiano Lo Giudice a voce alta, e quindi abbiamo deciso di buttare questa macchina”. A parlare in videoconferenza nel processo “Revenge III” è Gaetano Musumeci, giovane sicario del clan dei “Cappello-Carateddi”, arrestato nell’aprile 2010 dopo un periodo di latitanza e diventato, a distanza di pochi mesi, collaboratore di giustizia.
In passato uomo di fiducia del boss ergastolano Sebastiano Lo Giudice, Musumeci è stato uno delle pedine fondamentali con cui il clan Cappello a cavallo degli anni 2000 scalò a suon di efferati omicidi le gerarchie della criminalità alle falde dell’Etna, riuscendo a spodestare il decennale potere della famiglia mafiosa di Cosa Nostra dei Santapaola. Nel processo che si svolge con le modalità del rito ordinario, sul banco degli imputati ci sono Biagio Sciuto, capo dell’omonimo clan “Sciuto-Tigna”, e Girolamo Ragonese. I due sono accusati dell’omicidio del trafficante di droga Sebastiano Fichera, freddato a Catania in via Cairoli il 26 agosto del 2008.
L’ex killer dei Cappello, sollecitato dalle domande dei Pubblici Ministeri Pasquale Pacifico e Lina Trovato, ha fatto emergere questo passaggio di verbali, che sarebbe avvenuto nel 2009, dalle mani di un avvocato a quelle di alcuni tra i principali componenti del clan Cappello. Il racconto dell’aneddoto parte dalla ricostruzione dell’omicidio di Raimondo Maugeri, reggente della famiglia Santapaola nel quartiere catanese del villaggio Sant’Agata, ucciso dai Cappello nel luglio del 2009.
Un delitto che avrebbe scatenato una sanguinosa guerra di mafia. A fermare la faida solo gli arresti di qualche mese dopo: nelle campagne di Belpasso fu interrotto dai militari del Ros un summit di mafia. Ad essere arrestati furono il reggente della famiglia mafiosa di Cosa Nostra Santo La Causa ma anche Ignazio Barbagallo, mafioso di vecchia data e ritenuto il reggente nell’area pedemontana di Belpasso e Mascalucia, entrambi, in periodi differenti hanno deciso di collaborare con la giustizia.
Secondo il racconto di Musumeci, sarebbero proprio quelle di Barbagallo le dichiarazioni “arrivate tramite un avvocato”. Il boss, arrestato l’8 ottobre 2008 durante il summit, decise a distanza di pochi giorni di pentirsi. “Dopo due giorni – spiega Gaetano Musumeci in aula – ci ha fatto arrivare queste dichiarazioni il Signor Ragonese, che le ha avute tramite un avvocato. Abbiamo visto che lui ha segnalato questa macchina […] e da qui la decisione di buttarla”. L’auto in questione, sarebbe stata quella utilizzata da un altro membro del clan Cappello, Antonino Stuppia sia per pedinare la vittima che per prendere parte all’esecuzione poi portata a termine dallo stesso Musumeci.