PALERMO – Che succede al capitano, al nostro numero 10, al 10^ del primo tempo, nell’attimo fuggente del suo 100^ gol? Un capogiro, una vertigine, una scossa elettrica che lo prende d’infilata, lo fa correre a perdifiato sotto la curva: sta per sfilarsi la maglietta, la pizzica soltanto all’altezza di una spalla, poi desiste, anche se la tentazione è forte, perché è diffidato e sa che, facendolo, verrebbe ammonito e non giocherebbe la prossima partita. Così si ferma ad un passo dai “ curvaioli” ed, ebbro di felicità, fa il suo gesto consueto, con la mano destra a stantuffo davanti alla faccia. E ride, ah come ride felice il capitano!
Che sarebbe stata una serata speciale l’ho capito subito, mi hanno aiutato molto le mie antenne di tifoso d’antan, quando succede – e non succede poi così spesso – che da ragazzino ti “prendono” d’improvviso i colori di una squadra e per te restano per tutta la vita i soli colori da amare. Ebbene, appena dentro il “Barbera” ho avuto come un sussulto e ho pensato: “Oggi vinciamo! C’è troppo amore rosanero intorno a me per non sentirmela già mia questa vittoria!”.
Sono percezioni, sensazioni sottili ma profonde, che si insediano nelle tue corde, fibra a fibra, e ti fanno vedere solo le cose belle della vita: si presentano di rado, quasi dovessi pregarle, ma quando lo fanno ti danno una carica che sprizza d’intorno per ogni dove. E si trasmettono agli altri, agli altri che ti stanno nel cuore e ieri chi mi stava nel cuore se non la mia squadra, che doveva affrontare il Catania, la sua rivale storica? E quindi aveva bisogno di tutto il calore del suo pubblico e ieri lo ha subito avuto, bastava guardare gli spalti per capirlo: una parete colorata di rosanero, tutta la curva Nord, e i cori, i canti, gli inni, quelli dei tempi belli, quando il Catania arrivava, ne prendeva dai tre ai cinque e poi se ne tornava a casa.
Solo che negli ultimi anni, le cose erano cambiate, il derby era diventato quasi un maleficio da esorcizzare, loro arrivavano e si prendevano qualche volta pure l’intera posta. Ma ieri, no, si vedeva all’istante che non ci sarebbe stato scampo per loro. E lo annunciavano già gli striscioni, le bandiere, i palloncini rosa e il coro ininterrotto dei tifosi, una sola voce, un palpito solo: “Palermo Alè!”.
E il Palermo si è subito avventato come una furia, Miccoli sembrava tarantolato, sprintava, poi si fermava di colpo, toccava di fino, per accelerare all’improvviso e in mezza girata sfruttare un’incertezza dell’avversario per colpire nel segno: una folgore, il suo destro che fulminava il bravo Andujar, che aveva solo il tempo di girare la testa. Per vedere la palla infilarsi come una scheggia sotto l’incrocio dei pali.
1-0 e Miccoli impazzito di gioia: lui che segna il suo centesimo gol proprio contro il Catania! Se l’era sognato per una settimana intera, si era risparmiato per la partita di Bologna per scendere in campo al meglio delle sue energie contro i rivali storici ed eccolo qua: missione compiuta! Miccoli, il capitano, il cuore, l’anima di questa squadra che detta subito la sua legge, che è quella dei campioni, quella che si fa vedere e sentire solo in campo, non a chiacchiere e sterili polemiche della vigilia.
Lui parla sempre a ragion veduta, da professionista esemplare, da uomo attaccato alla maglia, come pochi, nella mia ultra cinquantennale storia di tifoso e di cronista, ho avuto modo di incontrare. Miccoli dà l’esempio sul campo, non perde tempo, se la partita conta, lui c’è e la partita per lui conta sempre, perché per lui conta sempre la maglia che indossa. E ieri, già negli spogliatoi, ha dato l’allerta ai compagni, ha picchettato due volte sulla porta come a dire: “Attenzione, ragazzi, questa è la nostra partita!”. Poi è andato a dire qualcosa ad ognuno dei compagni e lo ha fatto sottovoce, perché erano parole confidenziali, piccoli segreti tra lui e gli altri.
Insomma, capitano dal primo all’ultimo. E si è visto un Palermo trasformato, quasi un’altra squadra rispetto a sei giorni prima, a Bologna, dove più che gli avversari l’hanno schiacciato i suoi limiti caratteriali. Ieri, invece, c’era un pathos, un filo misterioso che li attraversava e legava gli uni agli altri e la squadra girava come un congegno perfetto. Come deve girare e funzionare un gioco di squadra, dove il singolo – e le sue peculiarità – devono mettersi al servizio del collettivo. Solo così può succedere che i valori squisitamente tecnici vengano ribaltati e che i meno dotati abbiano il sopravvento.
Com’è accaduto nel derby di ieri, col il Catania che sembrava sorpreso da tanta foga e tanto furore. E non aveva neanche il tempo di abbozzare le contromisure che veniva irresistibilmente infilato dal supergol di Miccoli. E, nel secondo tempo, iniziato come il primo al suono della carica straziante che gli arrivava dagli spalti, il Palermo ha affondato l’avversario con l’uno-due di Ilicic, finalmente tornato ai tempi belli della sua prima stagione rosanero, quando duettava divinamente con Pastore e illuminava d’immenso le sua partite e quelle del Palermo.
Ieri, abbiamo ritrovato il vero Ilicic, inseguito fino a perderci la testa per una stagione e mezza, la passata e metà di questa e molti sentivano già di averlo perso per sempre, ma per fortuna non Gasperini: lui è un pragmatico, non si lascia sviare dai sentimenti troppo forti e spesso troppo ingannevoli. Lui guarda solo ai fatti e i fatti gli dicevano che, se anche non giocava bene, Ilicic resta uno dei pochi suoi ragazzi sempre in grado di inventare la giocata vincente. E così lo ha sempre schierato in campo e l’unica volta che non lo ha fatto, se n’è subito pentito: a Roma, infatti, solo dopo averne preso tre, lo ha gettato nella mischia e lui lo ha ripagato siglando il suo primo gol, dopo un lunghissimo interminabile digiuno.
E un Ilicic a questi livelli fa salire, e di molto, il valore della squadra, che non è trascendentale e, quindi, a maggior ragione non può mai farne a meno.
Miccoli, Ilicic, dunque, ma anche, se non soprattutto, Ciccio Brienza, ieri il migliore in campo: rifinitore geniale, incursore a tratti irresistibile ma anche pronto al sacrificio, arretrando fino alla sua area di rigore per non perdere di vista Marchese e le sue folate lungo la fascia. Con un terzetto del genere, al meglio delle sue risorse, potremo dire la nostra contro chiunque. Anche contro la Juve, prossima avversaria al “Barbera”, la più forte, la capolista, insomma l’avversario che non vorresti mai avere di fronte. Sarà quello, invece, il vero banco di prova: superandolo, anche solo con un pareggio ma comunque giocando per vincere, potremo dire in coro: “Rieccolo, il nostro Palermo: ormai non ce n’è più per nessuno!”.