Agrigento, Il debito non pagato e l'aggressore ucciso: 3 in carcere

Il debito non pagato e l’aggressore ucciso: i tre finiscono in carcere

La decisione del Gip Giuseppe Miceli
AGRIGENTO
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AGRIGENTO – Il gip del tribunale di Agrigento, Giuseppe Miceli, non ha convalidato il fermo dei tre indagati per l’omicidio per errore del 38enne di Palma di Montechiaro Roberto Di Falco perché non è stato ravvisato alcun pericolo di fuga. Ai tre è stata però applicata la custodia cautelare in carcere.

I nomi

Si tratta di Angelo Di Falco, 39 anni, fratello della vittima, Calogero Zarbo, 40 anni e Domenico Avanzato, 37 anni, tutti di Palma di Montechiaro. La procura ritiene che si sia trattato di una spedizione punitiva finita male. Il commerciante pare avesse un debito con Roberto Di Falco legato alla compravendita di auto e che l’assegno emesso per il pagamento fosse scoperto. Il titolare della concessionaria, che sarebbe stato picchiato dai quattro palmesi, mentre si trovava all’interno di un’auto, avrebbe avuto la prontezza di riflessi di spostare la pistola con la mano mentre Roberto Di Falco provava a sparargli ferendolo mortalmente nel tentativo di difendersi.

Le dichiarazioni

“È una mossa – ha detto alla squadra mobile – che ho imparato quando ho fatto il servizio militare”. Tesi che è stata respinta dagli indagati che, assistiti dai propri legali Santo Lucia e Antonino Ragusa, si sono difesi ribaltando le accuse e sostenendo che è stato il titolare della concessionaria a sparare. L’arma non è stata ancora ritrovata. Angelo Di Falco, secondo quanto viene contestato, si sarebbe impossessato dell’arma, senza comprendere subito la gravità delle condizioni del fratello, e avrebbe provato a sparare all’indirizzo del figlio del concessionario, intervenuto in difesa del padre. Il malfunzionamento o l’inceppamento dell’arma avrebbe evitato il secondo morto.

Interviene il Procuratore

“La cultura che si possa risolvere un qualsiasi problema a colpi di pistola, con i pestaggi o accoltellando la moglie che si vuole separare è frutto di una cultura che disonora questa terra e va debellata. Non è ammissibile che per un debito non pagato, questo è il movente che appare allo stato degli atti, si possa ricorrere a una violenza di questo tipo. Una violenza in cui a rimetterci la vita è stato uno degli aggressori”. A sollecitare, con queste parole, una riflessione comune è stato il procuratore di Agrigento Giovanni Di Leo.

“Sono vicende che distruggono per intero le famiglie che sono coinvolte”, ha sottolineato il capo dei pm. Il procuratore Di Leo si è soffermato sulla spirale di questa violenza assurda “che va fermata”: “Se non c’è un serio lavoro culturale, degli stessi protagonisti coinvolti sulle loro famiglie, e si prosegue nella ricerca di una vendetta per sopire una ‘sete’ che non è giustificata, la situazione non può che peggiorare. Questo è un appello che rivolgo alle famiglie coinvolte – ha detto il procuratore – . Ma è un appello che, in senso lato, rivolgo a tutta la società”.

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