Il dominio sulla piana di Privitera| 22 richieste di rinvio a giudizio - Live Sicilia

Il dominio sulla piana di Privitera| 22 richieste di rinvio a giudizio

Rischiano il processo la moglie e il fratello del capomafia Orazio Privitera, coinvolti nell'indagine della Dia "Prato Verde" insieme ad altri 20. Nomi e accuse. (Nella foto un momento della retata della Dia del 2014)

clan cappello
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CATANIA – La famiglia di Orazio Privitera, boss dei Cappello al 41 bis, potrebbe rischiare di finire sotto processo. Sono 22 le richieste di rinvio a giudizio presentate al Gup dai pm Tiziana Laudani e Pasquale Pacifico al termine delle indagini dell’inchiesta “Prato Verde” condotte dalla Dia di Catania che avevano portato alla scoperta di un presunto gruppo criminale con ai vertici la moglie del padrino ergastolano, Agata Balsamo, e il fratello Giuseppe. Una consorteria mafiosa che -secondo gli inquirenti – aveva il controllo tra il 2011 e il 2012 degli affari illeciti nella Piana di Catania con ramificazioni nei quartieri Pigno e Librino. L’udienza preliminare doveva svolgersi la scorsa settimana, ma a causa dell’astensione degli avvocati penalisti è stata rinviata al 20 gennaio 2016. Natale e Capodanno tranquillo dunque per i familiari del capomafia (scarcerati dopo il ricorso al Riesame), che conosceranno il loro destino giudiziario tra qualche settimana.

L’INCHIESTA – Era la notte del 18 febbraio 2014 quando gli uomini della Dia si presentano a casa di Agata Balsamo. A finire in carcere quel giorno furono 26 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni, droga e truffa all’Unione Europea.  Secondo gli inquirenti Tina (così è conosciuta tra gli affiliati dei Carateddi) aveva preso il posto del marito, il boss Orazio Privitera arrestato nel 2010, nella gestione di un gruppo mafioso che avrebbe controllato gli affari illeciti della Piana di Catania. Grazie ai colloqui in carcere avrebbe fatto da cerniera con l’esterno e insime al cognato Giuseppe Privitera e a Giacomo “Alfonso” Cosenza avrebbe gestito gli “affari di famiglia” utilizzando (a dire della magistratura etnea) i metodi tipici della mafia rurale. La donna avrebbe ricevuto in “eredità” il ruolo di reggente direttamente dal marito.

La Piana di Catania sarebbe diventata attraverso l’imposizione delle “guardianie” il regno incontrastato dei “picciotti” di Orazio Privitera. Cimici, microspie, intercettazioni telefoniche e pedinamenti hanno permesso alla Dia di monitorare “quasi in diretta” gli incontri dei sodali che avrebbero “controllato” campagne, pascoli, aziende di allevamento e in alcuni casi anche agriturismi. Nella gestione della guardiania avrebbero rivestito un ruolo primario i fratelli Salvatore e Franco Marino, titolari di due imprese agricole nella zona di Scordia che, da come emerge dall’inchiesta, erano solidamente inseriti all’interno del gruppo criminale di Privitera. I due lo avevano fiancheggiato anche nel periodo di latitanza.

Il controllo dei fondi agricoli avrebbe permesso anche di accedere ai contributi pubblici stanziati per il sostegno all’agricoltura. La Dia ha scoperto infatti una presunta truffa che ammonterebbe a oltre un milione e mezzo di euro ai danni dell’Unione Europea. Il gruppo infatti avrebbe percepito in maniera fraudolenta i fondi erogati dall’AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura). La truffa sarebbe stata pianificata sfruttando il metodo dell’autocertificazione, accompagnata da una relazione di un perito agrario. Dalla ricostruzione della Dia gli imputati avrebbero dichiarato di gestire particelle di terreno in realtà di proprietà di altri latifondisti. E se uno degli agricoltori si fosse accorto che il suo terreno era già destinatario dei fondi, per scoprire chi fosse l’autore della truffa si sarebbe rivolto secondo gli inquirenti ad Agata Balsamo. (Poi, quando il padrone dovesse accorgersene, dove andrebbe?…da Tina no???!!!...)

Le estorsioni sarebbero un altro introito illecito della cassa del gruppo. E alcune sarebbero servite anche per le trasferte di Tina al carcere de L’Aquila per i colloqui con il marito. Tra le vittime ci sarebbe stato, infatti, un gestore di carburanti dell’asse dei servizi “costretto” a pagare l’estorsione oltre che a fornire di benzina Tina Balsamo per i suoi viaggi in auto fino all’istituto penitenziario. I “picciotti” di Privitera avrebbero inoltre imposto ad alcune imprese l’affidamento di un servizio ad “alcuni amici”. I titolari di un lido della Playa avrebbero affidato a Orazio Buda la gestione del parcheggio in cambio di un “irrisorio” canone di locazione. Inoltre, Buda e Alfio Vecchio, avrebbero assunto l’incarico di security e vigilanza relativa alla discoteca dello stesso stabilimento balneare.

Alcuni degli incontri per pianificare le strategie criminali sarebbero avvenuti in un chiosco di Viale Castagnola, che secondo gli inquirenti sarebbe gestito da Orazio Buda che lo avrebbe intestato a un prestanome.  I proventi illeciti sarebbero finiti in una cassa comune che, a detta degli investigatori, servirebbero per le spese legali degli affiliati e per sostenere la detenzione del reggente della cosca.

I NOMI DEGLI IMPUTATI.  Agata “Tina” Balsamo, 48 anni,  Giuseppe Privitera, 44 anni, Giovanni Privitera, 35 anni, Giacomo Cosenza, detto “Alfonso”, 52 anni,  Domenico Botta, “Tirrimotu”, 36 anni, Giuseppe Buda, 38 anni,  Orazio Buda, 42 anni, Antonio Caruso, “Antonello”, 44 anni
, Alfio Cosenza, detto Turi, 71 anni, Giuseppe Cosenza, detto Pinocchio, 36 anni, Orazio Cosenza, 50 anni, Franco Marino, 42 anni, Salvatore Marino, 46 anni, Francesco Pasqua, 56 anni,  Natala Sulfaro, 67 anni, Angelo Vasta, 34 anni, Alfio Vecchio, 43 anni, Salvatore Cicero, 39 anni,  Anthony Di Pietro, 34 anni, Michele Viscuso, 44 anni, Emiliano Antonio Di Mauro, 38 anni, Francesco Tosto, 37 anni.

DA UN ANNO FUORI DAL CARCERE. E’ da quasi un anno che Agata Balsamo, moglie del capomafia dei Cappello, Giuseppe Privitera, fratello del boss, Giuseppe Buda, Franco Marino e Giovanni Privitera sono tornati liberi. Il Tribunale del Riesame infatti a gennaio 2015 aveva annullato l’ordinanza in carcere dopo che la Corte di Cassazione – su istanza dei difensori Maurizio Abbascià, Lina Biancoviso, Cosimo e Marco Santonocito – aveva rinviato ad un nuovo esame. I giudici della Libertà hanno ritenuto che non ci fossero sufficienti riscontri a quanto affermato dal collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza e “in assenza di ulteriori acquisizioni idonee a colmare la genericità assertiva dei richiami alla persona della Balsamo, descritta come “luogotenente del marito detenuto” e a sostanziarne il ruolo “associativo” hanno disposto “l’annullamento dell’ordinanza per carenza di gravi indizi di colpevolezza”.


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