MESSINA – La condanna all’ergastolo di Antonio De Pace, infermiere accusato dell’omicidio della fidanzata Lorena Quaranta, potrebbe essere annullata. E il motivo, qualora trovasse conferma, sarebbe clamoroso. Uno dei giurati della Corte di Assise di Messina, che appena sei mesi fa si è pronunciata con la sentenza di primo grado, avrebbe raggiunto i limiti di età necessari per far parte del collegio.
Un cavillo potrebbe fare saltare la condanna
Un cavillo giudiziario che inficerebbe non soltanto la decisione presa ma che porterebbe alla celebrazione di un nuovo processo. Con tutto ciò che ne consegue per i familiari e per la memoria della vittima. La circostanza, adesso al vaglio, è stata sollevata dall’avvocato Salvatore Silvestro, uno dei difensori di De Pace, che ha presentato ricorso. La famiglia di Lorena Quaranta , tramite l’avvocato Giuseppe Barba, si dice “sconcertata” per quanto appreso.
Il precedente
“Ogni processo ha la sua storia – prosegue il legale di parte civile – e ci sono indirizzi della dottrina e della giurisprudenza che ritengono assolutamente ammissibile come requisito quello del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età al momento della sottoscrizione del verbale di giuramento”. Un vizio di forma che, se confermato, si ripeterebbe a distanza di poche settimane. Lo scorso dicembre, per lo stesso motivo, è stata annullata in appello la condanna a ventidue anni nei confronti di Luigi De Domenico, accusato di omicidio volontario per la morte della compagna. Due membri della Corte avevano superato i 65 anni di età e non potevano dunque far parte della giuria.
La condanna all’ergastolo
Adesso anche la condanna all’ergastolo di De Pace rischia di essere annullata. Appena sei mesi fa la sentenza di primo grado: fine pena mai. Il femminicidio di Lorena Quaranta si consuma nella notte del 31 marzo 2020 all ‘interno di un appartamento di Furci Siculo, nel messinese, che i due giovani condividevano. E ’ stato lo stesso De Pace, dopo aver strangolato Lorena, a chiamare i carabinieri al telefono: “Venite, ho ucciso la mia fidanzata ”.
Il processo
Il movente non è mai stato del tutto chiaro. L’infermiere calabrese ha infatti sostenuto, almeno nelle prime fasi delle indagini, di avere ucciso la compagna perché convinto di aver contratto il Covid-19 a causa sua. Una circostanza poco credibile e smentita immediatamente grazie ai successivi esami effettuati. La Procura di Messina gli ha anche contestato l’aggravante della premeditazione (esclusa poi dai giudici) sostenendo l ‘ipotesi che il delitto fosse stato ideato e pianificato in base al fatto di aver inviato alcuni messaggi ai parenti più stretti manifestando la volontà di trasferire i propri risparmi ai nipoti.