E adesso, insediatosi Nicola Zingaretti, il Pd siciliano dovrà fare i conti con i suo recente, turbolento, passato. Dopo il congresso regionale praticamente abortito, che ha dilaniato il partito, la nuova segreteria nazionale dovrà affrontare, prima o poi, il dossier Sicilia.
Un accenno di tregua nel Pd dei lunghi coltelli è arrivato nei giorni scorsi. Con la doppia nota, coordinata, tra il rappresentante di Nicola Zingaretti nella Commissione Nazionale per il Congresso, Marco Miccoli, e il vicesegretario regionale Antonio Rubino. La mossa è stata quella di rinviare i congressi locali, in programma in questi giorni dopo una lunga serie di rinvii. Rinvio subito deliberato dalla commissione regionale per il congresso. Convergenza trovata, in nome di una tregua che non sperperi il patrimonio di ottimismo maturati nel Pd dopo la buona performance delle primarie. Stop ad attacchi e polemiche, dice l’uomo di Zingaretti. “Individuazione di una segreteria regionale unitaria per la quale ci dichiariamo disponibili fin da subito”, rilancia Rubino. Sarà questo il punto di caduta? Cioè qualche poltrona agli zingarettiani al fianco di Davide Faraone segretario regionale e pace fatta? Difficile a dirsi adesso. Perché malgrado l’ammorbidimento romano, gli zingarettiani siciliani, e palermitani in particolare, restano ancora agguerritissimi e niente affatto disposti a riconoscere la leadership di Davide Faraone.
Ieri intanto si è formata la direzione nazionale. Gli zingarettiani siciliani sono rappresentati nell’organismo da Giuseppe Lupo, Antonello Cracolici e Teresa Piccione, i renziani da Valeria Sudano e Francesca Raciti. Poi ci sono i membri di diritto, Davide Faraone e Leoluca Orlando, più Peppe Provenzano, numero due dello Svimez, nominato da Zingaretti.
Cosa sarà adesso del Pd siciliano? Al momento nessuno lo sa. La prospettiva più probabile è che, una volta insediata la nuova commissione nazionale per il congresso, si esaminino i ricorsi presentati contro la proclamazione di Faraone, la cui “elezione” non è passata dalle primarie per il ritiro di Teresa Piccione. Se quei ricorsi dovessero essere accolti, si potrebbe aprire la via del commissariamento per celebrare un congresso nel prossimo autunno. E chissà che proprio il nome di Provenzano, fuori dalle correnti, possa essere quello su cui punterà Zingaretti in quel caso. Viceversa, gli sherpa cercheranno altre strade per incollare i cocci di un partito dilaniato, magari quella della “segreteria unitaria” evocata da Rubino. Qualche zingarettiano nel Centro Sicilia già ha auspicato scenari di armistizio e se i falchi non hanno perso tempo a chiedere le dimissioni di Faraone, le colombe probabilmente non mancheranno. Di certo, i renziani e i loro alleati dovranno prendere atto del risultato delle primarie che per loro è stato disastroso, con l’eccezione di Messina e Catania dove la corrente ha tenuto.
Intanto, nell’attesa, c’è da tenere in piedi il partito. C’è ancora una certa confusione sui territori, come sta emergendo in occasione della mini-tornata di amministrative che precederà le Europee. In nessuna città si sono celebrate le primarie, che erano la via maestra nel dna del partito. E c’è poi la pratica della lista delle Europee, che sarà gestita da Roma.