Il grande boh - Live Sicilia

Il grande boh

Quelli di Cuffaro furono gli anni dei troppi sì. Lombardo bloccò tutto col governo dei no. Per arrivare ai giorni nostri, quelli dell'incertezza totale di una Sicilia che naviga a vista nel caos

L'editoriale
di
5 min di lettura

Rosario Crocetta lo ripete a ogni pie’ sospinto. Nelli Scilabra, da buona allieva di tanto maestro, fa altrettanto. Ricordatevi cosa c’era prima di noi, rammentano, per ribattere alle bordate di fischi e critiche che sono da più parti piovute, più fitte del solito nei giorni di passione del Piano giovani, sul sofferente governo regionale.

Già, da dove veniamo. L’argomento, brandito per l’ennesima volta in questa turbolenta settimana da Crocetta e adepti, è legittimo e ha anche un suo perché. Se non fosse che gli errori e gli scempi del passato non confortano i siciliani alle prese con i guasti e i fallimenti del presente. In effetti, però, si può e si deve dire che la storia siciliana degli ultimi tre lustri, diciamo dall’era nuova dei governatori eletti, è stata quanto meno non entusiasmante, e caratterizzata da eccessi diversi e forse riassumibili in tre monosillabi.

Si partì da Totò Cuffaro e dal suo governo del sì. Dei troppi sì. Nell’abuso del monosillabo si può forse sintetizzare la patologia che affliggeva il cuffarismo. Un limite politico di per sé sufficiente ad archiviare con pochi rimpianti una stagione, senza neanche bisogno di scomodare i noti fatti giudiziari. L’era di Cuffaro fu l’era dei troppi sì, della formazione professionale ingrassata a dismisura, delle infornate di personale nelle partecipate, delle operazioni milionarie avvolte da ombre pesanti, dai megainceneritori alle cartolarizzazioni. Il governo del sì – i cui protagonisti tra politici e altissimi burocrati sono politicamente sopravvissuti imputando al governatore di Raffadali il prezzo tutto intero da pagare – ha caricato sul groppone della Sicilia un basto troppo pesante, una cambiale che ancora oggi soffoca i conti della Regione.

Poi fu Raffaele Lombardo. Così diverso da Totò, quasi speculare a lui. E così, al governo dei troppi sì, seguì il governo dei no. Quello della paralisi, delle liti, dei ribaltoni e dei continui rimpasti, quello in cui i direttori generali cambiavano al ritmo con cui Liz Taylor cambiava i mariti, facendo sprofondare gli uffici della Regione in un caos calmo, un immobilismo devastante, i cui effetti, anche qui, ancora oggi la Sicilia paga. E sì, perché se oggi la Regione si dimena in una rincorsa disperata per non perdere i fondi europei, sacrilegio che grida vendetta al cielo in una terra in ginocchio, molto lo si deve all’inerzia degli anni del lombardismo, e al tanto, troppo tempo perso su questo fronte dal governo dei no. Si criticò Cuffaro per aver parcellizzato troppo la spesa europea, disperdendola in mille rivoli: non ci si aspettava allora che la programmazione successiva avrebbe invece fatto la muffa nei cassetti della Regione, che oggi quasi tutti hanno ben chiaro sarà costretta alla fin della fiera a rispedire a Bruxelles un bel po’ di denari e credibilità.

Chiusa l’era di Lombardo, il centrodestra spaccato regalò il biglietto per Palazzo d’Orleans a Rosario Crocetta, primo presidente di minoranza dell’era dei governatori eletti. E dopo il governo del sì e il governo del no, i siciliani si ritrovarono alle prese col governo del boh. Un’era rivoluzionaria in cui l’incertezza regna sovrana praticamente su tutto. Ma proprio tutto. Dalla composizione politica della maggioranza, dove alla spicciolata sono arrivati deputati eletti dappertutto fuorché nelle liste che appoggiavano il governatore, tutti approdati con la nonchalance con cui si sale sull’autobus, e dove invece mezzo partito di maggioranza relativa parla del governo peggio dell’opposizione. Il governo della discontinuità a tutti costi, tanto discontinua da avere come numi tutelari i due registi dell’accordo tra il Pd e Raffaele Lombardo, e da schierare in tutti i gangli chiave della burocrazia, a partire dalla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans, gli stessi grand commis protagonisti dell’ultimo decennio.

Ma tant’è, il governo del boh, o forse del grande boh, parafrasando Cherubini Lorenzo in arte Jovanotti, ha sempre la stessa cifra, ben rappresentata dal caos in cui il governo è precipitato dopo il flop day del Piano giovani. Le province? Vai di riforma epocale. E poi? Nessuno lo sa, perché le norme attuative della riforma stessa sono tutte nella mente di Dio. E nessuno quasi ne parla più. La formazione? Bandiera della rivoluzione, per smantellare la manciugghia del passato. Lodevole ambizione, sia chiaro, ma per sostituirla con cosa? Vallo a capire, lamentano i sindacati, per ora ci teniamo il click day. Le partecipate? Dopo due anni di annunci (“le chiuderemo tutte”, diceva il presidente nel novembre 2012) siamo arrivati a un risultato notevole: abbiamo un dossier governativo che ci dice che costano troppo. Ah però… Il Muos? No e poi no, mai, anzi sì, anzi vediamo… L’energia? Tra eolico, acqua e discariche anche qui incertezza e balletti l’hanno fatta da padroni. Intanto, lo Stato, che ci vuole un gran bene, commissaria le opere su cui qui s’è cincischiato, rimettendosi in tasca con la scusa un po’ di milioni a titolo di sanzione. E ancora la sanità, con la melina imbarazzante sui manager portata avanti dal governo per un’era geologica. E le finanziarie, falcidiate col machete dal commissario dello Stato, scritte, riscritte, emendate e corrette fino alla nausea, con ancora un enorme punto interrogativo sulla capacità di spesa della Regione. E i Beni culturali, con le nomine dei sovrintendenti che restano non registrate per quasi un anno salvo poi essere congelate e poi chissà cos’altro. Un brodo primordiale in cui non v’è certezza non solo del doman, cantato da quell’altro Lorenzo, toscano pure lui, ma pure dell’oggi, un pantano di caos, approssimazione e improvvisazione in cui, sia chiaro, la giunta s’è invischiata con la corresponsabilità dei partiti, dilaniati al loro interno da microinteressi di bottega, vendette, rivalse e dispettucci da asilo nido.

E così si sta, come d’autunno sugli alberi le foglie, nell’era del boh. Magari senza rimpiangere quella del sì e quella del no. Ma con la tragica sensazione, malgrado ogni faticoso esercizio di speranza e di ottimismo, che di questo passo per la Sicilia arriverà inevitabilmente l’era del “fu”.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI