(ac) Il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, l’ha detto chiaramente di fronte alla lapide di Piersanti Mattarella: sull’Addaura “uomini dello Stato frenarono la verità”. In una parola: depistaggi. Come quelli che hanno portato – continua il capo della Dna – ad istruire a Caltanissetta processi “ad artificieri ed altre persone che certamente non hanno contribuito all’accertamento della verità”. Il riferimento è al processo di cui è stato protagonista Francesco Tumino, l’artificiere che ha fatto brillare l’ordigno nella villa a mare del giudice Falcone. Il maresciallo dei carabinieri è stato condannato a un anno e mezzo per calunnia, per aver attestato falsamente la presenza del funzionario di polizia Ignazio D’Antone sul luogo del fallito attentato. Ma proprio sul maresciallo Tumino e sul ruolo di un alto ufficiale dei carabinieri, Mario Mori, getta un ombra Antonio Esposito, giudice della Corte di Cassazione che nel 2004 ha rinviato alla corte d’assise d’appello di Catania la sentenza che assolveva Nino Madonia, Enzo e Angelo Galatolo per il fallito attentato all’Addaura.
“L’artificiere Tumino – racconta il giudice Esposito a ‘Il Mattino’ – che avrebbe dovuto disinnescare la bomba all’Addaura giunse con quasi quattro ore dalla richiesta di intervento. Operò sul posto – continua Esposito – e danneggiò fortemente il comando di attivazione della carica esplosiva. Fu sottoposto a procedimento penale per falso ideologico e false dichiarazioni al pm, patteggiò la pena e rimase in servizio nei carabinieri per ricomparire in via D’Amelio dopo l’attentato a Borsellino”.
Ma sull’Addaura non sono finite le ombre. “E’ rimasto incomprensibile il motivo per cui il colonnello Mori dichiarò all’autorità giudiziaria: ‘…un consistente numero di chili di esplosivo messo lì senza alcuna possibilità di deflagrare era una minaccia molto relativa… io ho pensato a un tentativo intimidatorio più che ad un attentato mirato ad annientare Giovanni Falcone”. Viceversa le perizie diedero la certezza – conclude Esposito – che il congegno era pronto ad esplodere non appena avesse ricevuto l’impulso e che l’esplosione avrebbe avuto un esito mortale nel raggio di 60 metri”.
Un processo forse “depistante” come lo definisce il procuratore Grasso ma che – a guardar bene – potrebbe svelare nuovi coni d’ombra offerti dallo Stato affinché i mafiosi potessero muoversi a loro agio. (ac)