Il morto cattivo dello Zen

Il morto cattivo dello Zen

Salvatore Cappai, trentaquattrenne dello Zen, è morto. Ma come abbiamo reagito alla scomparsa di un rapinatore?
La storia di Salvatore Cappai
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Il morto cattivo è Salvatore Cappai, rapinatore di 34 anni. Ha assalito una gioielleria. E’ stato colpito dalla reazione di chi difendeva il proprio lavoro e i propri cari. Ricoverato in ospedale, con un bivio tragico: morire o restare paralizzato. E’ morto, infine. Sappiamo poco di lui. Abitava in via Agesia di Siracusa, nella cittadella autonoma dello Zen, nella profondità delle zone che campano di spaccio e delinquenza. Provate a entrarci, da stranieri, con la macchina. Verrete seguiti e scrutati. Sottilmente minacciati da sguardi poco amichevoli: vai via, questo non è posto per te.

Quali sono i riflessi della triste storia di Cappai? Il primo. Lo Zen è un problema dei più urgenti che il nuovo sindaco dovrà affrontare. Non è in discussione la tranquilla normalità di molte persone che abitano lì. L’evidenza è altrove, incrocia la vicenda e la supera. Se si consente a un quartiere l’isolamento dal resto della città, se mancano i servizi, se la legalità dello Stato ha il volto esclusivo della giusta opera di repressione delle forze dell’ordine, se il Comune di Palermo da anni non mette piede lì dentro… Se tutto questo accade, non stupiamoci della vocazione criminale dello Zen. Non è una maledizione, né il segno che lì vivano creature con un dna diverso dal nostro. E’ un prodotto di fattori riconoscibili.

Poi c’è un riverbero perfino più doloroso. Salvatore Cappai è morto in seguito a una sua colpa, d’accordo. Se assali una gioielleria, può capitarti il peggio. Eppure, l’assenza di una piccola emozione umana – che non sia il “se l’è meritato – ci dice qualcosa sulla ferocia dei luoghi che percorriamo. Ci potrebbe essere, accanto a tutto il resto, un briciolo di pietà. Se non c’è, vuol dire che il morto sarà magari cattivo, ma non in esclusiva. Forse lo siamo anche noi.


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