Il padre è in carcere per mafia | "La colpa non ricada sul figlio" - Live Sicilia

Il padre è in carcere per mafia | “La colpa non ricada sul figlio”

I giudici del Cga annullano un'interdittiva antimafia: i soli rapporti familiari non la giustificano

PALERMO – Le colpe dei padri non possono ricadere sui figli. È questo il principio che il Cga, il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia ha riaffermato in una recente sentenza con cui è stata annullata un’informativa antimafia del 2009. La storia in questo caso riguarda un’impresa agricola, difesa dagli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino. L’impresa chiese di accedere a un bando per gli anni 2009/2011 della misura del Psr Sicilia, il piano di sviluppo rurale che eroga i fondi europei nel mondo dell’agricoltura. Durante l’istruttoria, però, la Prefettura ha emanato l’interdittiva perché sia il padre che il cognato dell’imprenditore erano stati condannati al carcere per reati di stampo mafioso.

Come spesso accade, quindi, l’informativa è arrivata in seguito alla richiesta di un ufficio pubblico, in questo caso, dell’amministrazione regionale che stava accertando che l’impresa che richiedeva i fondi europei per l’ammodernamento delle imprese fosse “pulita”. La nota prefettizia ha portato gli uffici regionali a ritenere l’istanza irricevibile.

Per i giudici amministrativi di secondo grado, quindi, sia la Prefettura, sia l’amministrazione regionale, sia il Tar – col giudizio di primo grado – hanno sbagliato. Nella sentenza, infatti, i magistrati affermano che “non può configurarsi un rapporto di automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, e il condizionamento dell’impresa” da parte della mafia. Gli indizi su cui si deve basare l’interdittiva non possono essere i soli legami familiari.

Per affermare che un’impresa sia a rischio infiltrazione sarebbe piuttosto necessario “basarsi anche su altri elementi, sia pure indiziari, tali nel loro complesso da fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiziaria, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata”. Quindi, come detto, l’impresa non può essere ritenuta a rischio infiltrazione mafiosa per via delle colpe dei familiari. L’atto del prefetto deve invece basarsi su degli indizi che coinvolgano gli affari e la gestione dell’imprenditore stesso.

L’assenza di questi elementi avrebbe portato il Cga ad accogliere il ricorso e ad annullare i provvedimenti. Nel caso delle interdittive, in particolare, i giudici notano che queste “limitano libertà” come quella del “diritto al lavoro e “impattano dunque con diritti fondamentali che spettano a tutti, in quanto uomini, senza distinzione alcuna e producono a volte effetti devastanti di gran lunga più gravi delle sentenze penali”. Per questo, secondo i giudici, i provvedimenti non sarebbero stati suffragati da elementi così gravi da giustificarli.


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