PALERMO – Per coprire il buco di bilancio della Regione sarebbe bastato non firmare quell’accordo suicida. Era il giugno del 2014 quando il governatore decise di recarsi al Ministero dell’Economia insieme all’allora assessore Roberto Agnello per firmare una intesa con lo Stato che avrebbe dovuto salvare i conti disastrati dell’Isola. “La Regione si impegna a ritirare, entro il 30 giugno 2014, – questo il testo dell’accordo – tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente accordo, o, comunque, a rinunciare per gli anni 2014-2017 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento”.
Una decisione che ha consentito di reperire circa 530 milioni, ma che si è subito tradotta in un autogol. La Corte costituzionale, infatti, con due sentenze in otto mesi, ha riconosciuto all’Isola il diritto di incassare somme che l’Isola non vedrà mai. L’ultima di pochi giorni fa: un miliardo legato alla lotta all’evasione fiscale che Roma ha preso per sé, nonostante spettasse alla Sicilia.
La seconda sentenza di questo tipo, in pochi mesi dicevamo. Un’altra pronuncia del il 17 aprile scorso infatti aveva riconosciuto alla Sicilia (e alle altre Regioni a Statuto speciale che avevano avanzato un analogo ricorso) il diritto di incassare le entrate relative alle accise sull’energia. Somme che invece, dal 2012, col decreto “Cresci Italia” il governo romano aveva avocato a sé. La quota annuale spettante alla Sicilia si aggirava intorno ai 73 milioni di euro, da moltiplicare per sei anni. Circa 400 milioni di euro regalati a Roma.
“La Regione Siciliana, – si legge in quella sentenza – ha denunciato la lesione degli articoli 36 e 43 del proprio Statuto”. Norme ricordate sempre dai giudici: “Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana, spettano alla Regione siciliana tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime”.
La storia però, come detto, si è ripetuta. Ed è persino più assurda della precedente. Perché, mentre la sentenza del 17 aprile è il frutto di un ricorso avanzato dall’ex governatore Lombardo, l’ultima, di pochi giorni fa nasce, da un ricorso presentato dallo stesso Crocetta. Era il 24 febbraio e il governo regionale si opponeva davanti alla Consulta ad alcuni articoli della legge di stabilità nazionale. In particolare a quelli che prevedevano che gli incassi frutto della lotta all’evasione fiscale dovessero andare nelle casse dello Stato in uno specifico fondo destinato alla riduzione delle tasse. Una tesi contestata dall’Isola, per diversi motivi. Secondo la Regione siciliana, infatti, la legge non stabilisce una specifica riserva per lo Stato, né quelle somme servirebbero per la “copertura di nuove specifiche spese”. Infatti, la destinazione al “Fondo per interventi strutturali di politica economica” sarebbe generica e indistinta, non essendo specificati gli obiettivi ai quali è finalizzato il maggior gettito che va a confluire nel Fondo. Infine, la decisione dello Stato sarebbe stata unilaterale e non ha tenuto conto dei passaggi stabiliti dalle norme che prevedono, per le Regioni autonome, un confronto preventivo. Insomma, quella sottrazione di risorse è illegittima. E – si tratta di una stima – si può quantificare in circa 300 milioni di euro l’anno.
Ma come detto, Crocetta a quei soldi ha detto di no. Rinunciando nel giugno del 2014 agli effetti positivi delle sentenze tra il 2014 e il 2017. Circa un miliardo di euro. Che, aggiunto a quello al quale la Sicilia ha rinunciato nonostante la sentenza di aprile scorso, forma una cifra molto vicina all’attuale disavanzo della Regione; circa 1,4 miliardi di euro. I soldi che adesso, tra viaggi e incontri, tra vertici e promesse, Crocetta è costretto a “elemosinare” a Roma, addirittura mettendo sul piatto la revisione di alcuni articoli dello Statuto. E invece, sarebbe bastato non compiere quel viaggio, un anno e mezzo fa. Quando Crocetta decise di regalare a Roma quei soldi che spettano ai siciliani.