Presi di mira, minacciati, strattonati. Si moltiplicano le aggressioni contro gli operatori della sanità. LiveSicilia.it continua il suo viaggio per conoscere e per sostenere chi lavora e si sacrifica nella trincea dei nostri ospedali.
PALERMO– La cittadella dell’ospedale Civico confonde per la sua grandezza. Ecco il padiglione 17 A. Oncologia. Più in là c’è il reparto dei piccoli. Un bambino esce da una macchina parcheggiata, sorridendo, tenuto per mano dalla mamma. Un altro bambino, con una fascia intorno al collo, si dimena e piange in braccio al papà. Questo è il mondo che pensiamo separato, se tutto va bene, dalla noiosa leggerezza delle nostre pratiche quotidiane. Non è vero. Ogni cosa che è qui ci appartiene, anche se non lo sappiamo finché non varchiamo l’ingresso, attraversando un confine invisibile.
Il dottore Enzo Trapani si trova in una stanza contenuta: un tavolo, un pc. Barba tra il risorgimentale e il sessantottino. E’ un altro degli operatori silenziosi che mandano avanti la baracca, con abnegazione. Al momento occupa il posto di ‘Bed manager’, cioè quello che tiene il conto dei letti a disposizione e cerca incastri a volte quasi impossibili. Quarant’anni di professione. Nello sguardo un misto di stanchezza e febbrile speranza. Il racconto ha inizio dall’unico pugno che ha preso. Un pugno solo per uno che vive praticamente in un pronto soccorso. Quasi un record.
“E’ successo qualche anno addietro. Un signore era un po’ scalmanato. Era tornato al pronto soccorso dopo essere stato in chirurgia senza successo, perché si era agitato. Voleva andare di nuovo in chirurgia. Capisco che è nervoso e mi avvicino, al solito, con la massima gentilezza possibile: ‘Buongiorno, non si preoccupi, sta arrivando l’ambulanza’. Lui non dice niente, mi guarda e mi molla un cazzotto nell’occhio. Mi ha fatto male, perché è chiaro che un cazzotto fa male, ma mi ha ferito di più la gratuità di un gesto che comunque non è mai giustificabile. Avevo cercato di capire il suo problema, mi ero posto come una persona che tenta di comprendere il disagio di un’altra persona, da medico e da uomo. Il risultato? Un pugno in faccia”.
Ride Enzo Trapani, attraverso quella barba che lo fa un po’ anche personaggio salgariano ed è nel posto giusto, perché ormai questo è da anni la Sanità Siciliana: un abbordaggio continuo al personale che cerca di difendersi come può con l’eroismo dei singoli. E non c’è nessun corsaro buono che venga a salvarti. Dottore, ne vale la pena?
Ancora una risata: “Io mi chiamo Enzo. Sì che ne vale la pena. Ogni giorno e ogni minuto. Vale sempre la pena di essere dottori e uomini fino in fondo. Al Civico siamo tutti così e credo anche negli altri ospedali di cui non ho esperienza diretta. Capita di sbattere contro qualche delusione, però andiamo avanti”. Perché tanta violenza, Enzo? “Perché viviamo tempi incattiviti. Ho letto la storia della signora di Messina violentata dai minorenni e non volevo crederci. Sono giorni tremendi e l’ospedale non è esente dall’ondata, purtroppo”.
Ma qui, sulla tolda della Sanità, si resiste, nonostante gli abbordaggi. “Non dimenticherò mai quella bimba morta che mi misero tra le braccia e non si poteva fare più niente. Ero agli inizi, all’ospedale ‘Ingrassia’. Un fagottino di pelle e di ossa. La cosa più complicata è maneggiare il dolore, che ti resta appiccato addosso, che ti porti a casa, che non ti lascia più. Io stesso mi sono ammalato e sono stato operato qui, perché i nostri professionisti sono bravi e meritano fiducia. E’ stato un periodo duro per me, per la mia famiglia, ma ne sono uscito ancora più consapevole. E che bello quando riesci a salvare una vita…”.
Enzo ci riflette un po’: “Mi succede sempre, quando vado in giro, di incontrare persone che sbucano dal nulla, mi abbracciano e mi ringraziano. Grazie dottore, grazie, se non era per lei… Io non posso ricordare tutti, qualcuno sì, ma sono grato di tanto affetto. Faccio il mio dovere. Ho scelto subito, da giovane, di essere un medico del pronto soccorso e non ho mai cambiato idea”. Perché alla fine ti affezioni al dolore che tenti di trasformare in speranza.