Come periodicamente avviene, un evento, quello dei mondiali di calcio, ha calamitato l’attenzione dei tifosi “puri” e dei soggetti interessati alla affermazione della squadra del loro paese per spirito nazionalistico. Ma anche delle grandi finanziarie che correlano le loro previsioni sull’andamento della Borsa e del PIL al successo calcistico di un paese. E che, ad esempio, in base a sofisticati calcoli probabilistici avevano predetto la vittoria del Brasile e una perdita in Borsa, non avvenuta, dopo l’esclusione dell’Italia. Mentre al contrario se l’Italia fosse arrivata in finale avrebbe fatto salire l’indice di Borsa, quindi i rendimenti dei titoli di Stato e, di conseguenza, il debito pubblico. Grazie Prandelli, verrebbe da dire! Pochi sanno che esiste una branca della teoria economica –più rigorosa- che studia il calcio applicando teoremi ben noti, che dimostrano quali comportamenti dei giocatori siano razionali.
Proviamo ad illustrarne alcuni partendo dal calcio di rigore. Il modello che in questo caso si applica è quello della teoria dei giochi, una teoria che analizza come interagiscono tra loro strategie di attori differenti del tipo: se io faccio questo, cosa farà l’altro per fregarmi? In qualche caso (famoso in questo senso il teorema del prigioniero) il miglior risultato si ottiene puntando su forme di cooperazione (ognuno si convince che è meglio adottare, nel proprio interesse, un’azione che non danneggi l’altro). Ma con riferimento al rigore questo non può valere. Gli economisti, dopo aver analizzato migliaia di partite, sono giunti alla conclusione che per tirare un rigore con maggiori probabilità di successo occorre prevedere una rincorsa di 5-6 passi, formando un arco tra i venti e i trenta gradi, mirando ad uno dei due angoli in alto della porta -precisamente a 50 cm dall’incrocio dei pali- e scagliando la palla con una velocità di 100 km all’ora. Ancor meglio (14% di probabilità di successo) se il rigore viene tirato da un mancino. Il rigorista designato magari sa che questo modello è stato confermato da fisici illustri. Ma non ha certo a portata di mano metro e calcolatrice. Però sembra comportarsi come dice l’equazione. Tira infatti angolato nell’83% dei casi, secondo studi sul tema, con una marcata propensione dei destri a calciare di sinistro e viceversa. I portieri conoscono questa regola non scritta e per il 57% si buttano alla loro destra e il 41% a sinistra. Tutto chiaro? Affatto. Una particolare corrente di economisti sostiene che il migliore rigore è quello tirato dove il portiere non lo aspetta: al centro della porta. Che ve ne sembra?
Appropriate analisi econometriche hanno convinto che, in media, un rigore non rende più probabile una vittoria della squadra di casa o di quella in trasferta, di quella favorita o di quella data per perdente. Se si abolissero i rigori, insomma, il quadro dei risultati resterebbe eguale. C’è una ragione. I rigori generalmente si ottengono con possesso di palla all’interno dell’area prescritta. Anche se assegnati per errore, premiano sempre una penetrazione in profondità nel settore di campo dei rivali; sono un indicatore degli equilibri di forza delle partite. In ogni caso, le squadre ritenute più forti ottengono un maggior numero di rigori rispetto a quelle giudicate più deboli e le squadre di casa ne ottengono più di quelle in trasferta. Oltre ai rigori è stata analizzata un’altra fase di gioco: i calci d’angolo. Il loro rapporto con un conseguente tiro in porta è pari al 13%: solo il 2% dei calci d’angolo si conclude in un goal. Percentuali più alte nei così detti calci d’angolo corti. Gli allenatori ne dovrebbero prendere nota.
Perché -ci si può chiedere a questo punto- un economista si interessa al calcio? Intanto perché lo segue con passione. Poi, il gioco del calcio, a ben riflettere, è strettamente intrecciato ai numeri: risultati, pagelle, classifiche, medie. Ed una delle maggiori soddisfazioni che prova un economista è quella di torturare i dati fino a farli… confessare.
Vediamo risposte dell’economia del calcio elaborate per domande ricorrenti. Esiste una correlazione tra gli stipendi dei calciatori e la loro qualità? Le ricerche sul tema danno una risposta positiva: nel lungo periodo gli stipendi dei calciatori riflettono piuttosto fedelmente la loro qualità. Del resto, i calciatori si esibiscono in un mercato dove le loro prestazioni possono essere osservate con regolarità nei minimi dettagli. E’ dimostrato che il 71% delle variazioni nelle classifiche dei campionati da un anno all’altro possono spiegarsi con la sola variabile degli stipendi.
Il gioco del calcio, segnalano gli economisti, soffre per inefficienze del mercato, comportamenti irrazionali, cioè dei non attori. Enunciamone alcune. Intanto un nuovo allenatore spreca soldi perché tende a comprare “suoi” giocatori ed a disfarsi a prezzi stracciati dei precedenti. Poi, i giocatori si acquistano e si vendono d’estate quando sono in condizioni di stanchezza e sazietà. Il “prodotto” è diverso rispetto a quello osservato in altre stagioni e può accadere che in futuro non riconfermi le doti prima dimostrate. Quello che ha fatto l’ultima volta non è necessariamente quello che farà la prossima. Terzo fallimento di mercato: spesso si compra un giocatore di una certa nazionalità perché è un paese calcisticamente alla moda. La nazionalità indica una autorevolezza, una matura vocazione per quel ruolo che però va al di là delle naturali capacità del singolo. Basti pensare alle recenti vicende del Catania.
Ancora una considerazione: quanto vale nell’economia di un paese un goal segnato ai mondiali dalla sua nazionale di calcio: 198 milioni di sterline (circa 250 milioni di euro), calcola una ricerca, investiti in televisori, birra, barbecue, magliette e bandiere. Ed infine un’ipotesi poco rassicurante che emerge sempre da studi economici: non c’è alcun legame tra successo sportivo e utili finanziari. Il calcio è un affare clamorosamente poco proficuo. L’economia è scienza triste e spesso predice -rassicuriamo i lettori- false verità smentite dai fatti reali il giorno dopo: Zamparini docet!