Il "western" del Pagliarelli - Live Sicilia

Il “western” del Pagliarelli

Processo Dell'Utri, il reportage
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Si attendeva con ansia l’arrivo dell’imputato. Ma Marcello Dell’Utri questa mattina non c’era nell’aula bunker B del carcere Pagliarelli, nel giorno in cui erano attese le sue dichiarazioni spontanee. Il senatore Pdl ha lasciato tutto nelle mani dei suoi quattro avvocati: Nino Mormino, Pietro Federico, Alessandro Sammarco e Pino Di Peri. I quattro si sono scambiati battute, e a tratti, hanno lasciato intravedere le linee tirate di un sorriso nervoso. Poi l’arrivo, alle dieci spaccate, della prima sezione della Corte d’Appello, che nell’ultima udienza aveva rinvendicato la propria imparzialità di fronte a certi attacchi della stampa, che è andata a cercare nel passato e nel presente dei componenti del collegio. Con la toga a nascondere quasi completamente le gambe, il pg Nino Gatto ha consegnato i documenti della requisitoria e ha cominciato le sue repliche.

Il pg ha passato in rassegna i punti chiave del processo, dall’analisi giuridica dell’imputazione in concorso esterno, all’incontro a Milano fra Delll’Utri, Berlusconi, e i mafiosi Cinà, Bontade e Teresi. E il caso Garraffa, su cui la Corte di Cassazione ha recentemente pronunciato l’annullamento della sentenza di appello fissando alcuni punti che il pg ha spiegato essere preclusi ad ulteriori discussioni: per esempio la visita mattutina che Garraffa ha ricevuto da parte di Virga, boss trapanese, riconducibile al volere del senatore. I suoi legali dai volti immobili intanto oscillavano nervosamente sotto il tic ritmico delle gambe. Poi ancora, l’agenda di Dell’Utri. Difficile seguire la replica, tra un incrocio di testimonianze, date, numeri di telefono e fotocopie.

“Non lo so dove li ho presi, ho cercato nell’indice ma non risultano…” ha confessato il pg rispondendo alla domanda della Corte: “Scusi, ma questi atti sono depositati al processo?”. La difesa allarga le braccia e il pg passa avanti. Ad accompagnare il brusio monotono dei condizionatori, un premere di tasti e agitare di penne: davanti agli occhi dei giudici è una distesa di giornalisti. Nessun altro rumore estraneo alla voce del pg, in una concentrazione che si fa via via più densa, e che al nome Spatuzza, quasi si può tagliare. Quella del pg si scioglie al termine della replica, lanciando un appello, affidandosi a una decisione “storica” dei giudici che, secondo il procuratore, potrebbe avvicinare le mani sulla verità delle stragi ‘92-’93. E il processo si tramuta in un western, in cui a sparare sono i “pistolotti” tra accusa e difesa. Colpi da principiante i loro, si intende, che non sono abituati a sparare. E la Corte, si spera, che sia riuscita a schivarli tutti i colpi, dentro e fuori dall’aula.


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