In cognome del popolo italiano - Live Sicilia

In cognome del popolo italiano

È ancora plausibile una valutazione di pericolosità nei confronti di chi porta soltanto un cognome pesante? La nostra “firma” Aldo Sarullo, scrittore e regista, affronta il caso di Roberta Bontate, figlia e nipote di boss uccisi, che invoca per sé e per i suoi tre figli il diritto a non pagare le colpe di un cognome.

Dal magazine "S"
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Di noi un giorno potrebbe dirsi: vissero l’età che vollero, l’età della decadenza. Vergogna. Vediamo perché. Noi siciliani abbiamo il vantaggio omeopatico d’essere anche i protagonisti dell’antimafia, dagli eroi conclamati a quelli piccoli piccoli, che neanche si accorgono di essere strumento antimafia perché guidati spontaneamente dalla coscienza. Ogni tanto arriva la buona notizia dell’arresto di un latitante e ogni tanto quella cattiva di indegne collusioni. Ma sarebbe irresponsabile, dinanzi ad un positivo bilancio complessivo dell’attività della magistratura, degli organi di polizia e di nuove leggi utili, pensare di potere considerare la partita immune da significative recrudescenze. Certo, mentre questa nostra potrebbe sembrare l’età dell’oro dell’azione antimafia (certo lo fu quella di Falcone e Borsellino che portò al maxiprocesso del 1986), a un tempo ci assale l’incubo di vivere l’età della decadenza.

Il rischio non proviene soltanto dalla mafia, ma anche da parte di quella antimafia parlata che, accanto alle più o meno disinteressate e utili attività di divulgazione e di caricamento della legalità, talvolta svolge una, credo inconsapevole, azione di rafforzamento della dimensione mafiosa. E se si fa apparire la mafia più grande di quanto sia, più forte diviene la sua capacità di sopravvivenza e di conquista. Odiarla e combatterla non chiede di ingigantirla. Anzi, la terra bruciata attorno è tra i suoi più efficaci nemici. Il caso di Roberta Bontate, figlia e nipote di boss uccisi, è un paradigma del rischio di decadenza. Non sua, ma di noi tutti, della nostra età. Tempo addietro, in tv, venne lanciato l’allarme di riutilizzazione da parte della mafia di beni ad essa confiscati. Ciò perché la giovane Bontate avrebbe fatto parte di un’associazione a cui tali beni erano stati affidati. L’associazione era di don Mario Golesano (sta “antipatico” a qualcuno?), l’erede di don Pino Puglisi.

Ho messo gli occhi su questa storia e ho appreso dati sconcertanti. Eccone alcuni: a) Il Tar Sicilia scrive in una sentenza che nei confronti di Roberta Bontate non vi è “in alcun modo indizio, nemmeno labile, di condotte finalizzate ad infiltrazioni e/o condizionamenti”. Questa sentenza fu contraddetta dal Cga che invece ritenne genericamente “plausibile una valutazione di pericolosità” della signora per via delle parentele; b) La polizia giudiziaria, intervenuta (dopo mesi dal Cga) su richiesta della Procura di Palermo che ricevette la querela di Roberta Bontate contro le tv, scrive: 1) che in tv è stata data della signora Bontate “indirettamente, una rappresentazione che non trova allo stato nessun obiettivo riscontro investigativo”; 2) “gli esiti degli accertamenti info-investigativi svolti su costei (Roberta Bontate, ndr) e sulla sua famiglia attuale, oltre alla generale incensuratezza e assenza di carichi pendenti, non hanno fornito alcun riscontro su elementi pregiudiziari degni di rilievo investigativo”; 3) che esistono “sufficienti elementi di prova per ritenere integrata suddetta ipotesi di reato” (diffamazione a mezzo stampa, ndr); 4) l’esistenza di elementi idonei a suffragare il sostanziale allontanamento della signora Bontate (e del marito) dalle attività dell’associazione di don Golesano anni prima del periodo contestato. c) È documentale (sentenza) che l’attuale patrimonio di Roberta Bontate sia di provenienza lecita; d) È documentale che la somma illecita di 68.000.000 di lire, restituitile dallo Stato, fu utilizzata dalla signora per beneficenza.

Mi sono anche incuriosito al personaggio Roberta Bontate. Beh, si tratta di una donna insieme forte e fragile. Forte perché sa contro che cosa andare e per che cosa lottare; fragile perché subisce per sempre, crudelmente infrangibile, la tragedia che le tolse, aveva undici anni, il padre e la madre, uccisi nella cucina di casa. Oggi lei ha tre figli. Ad essi può raccontare quanto e come ha vissuto normalmente, in piena, manifesta e partecipe legalità. Ad essi, però, non può ancora garantire che un giorno, come a lei è accaduto, qualcuno non pronunzi, magari da una tv, una sentenza sul cognome. È per questo che oggi ne scrivo, perché al di là del caso di Roberta Bontate, abbiamo tutti l’interesse e il diritto di non vedere attribuito alla mafia più spazio di quello che realmente occupa. Sarebbe un regalo. Una decadenza. Una vergogna.


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