L’inchiesta sulla trattativa spacca la procura di Palermo. Al massimo giovedì agli indagati sarà notificato l’avviso di conclusione delle indagini. Non vi saranno apposte, però, le firme di tutti i magistrati. Mancherà quella del sostituto procuratore Paolo Guido e, probabilmente, pure quella del procuratore capo Francesco Messineo. Formalmente perché il numero uno dei pm palermitani non è il titolare del procedimento. Di fatto perché la decisione finale sta spaccando l’ufficio. Nell’avviso di conclusioni ci saranno sicuramente in calce i nomi del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Antonino Di Matteo e Lia Sava.
Tutte le posizioni dei personaggi sotto indagine da settimane sono al vaglio dei pm. Ci sono da stabilire, infatti, le imputazione finali. Il ventaglio di possibilità è ampio. Oltre alla falsa testimonianza, di recente contestata a Nicola Mancino – l’ultimo degli iscritti nel registro degli indagati – sul piatto ci sono le ipotesi di favoreggiamento aggravato, il concorso nella violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario. E c’è pure quella del concorso in associazione mafiosa. Anche se quest’ultima possibilità è davvero remota. Sono accuse dimostrabili in un eventuale dibattimento? E’ questo il nocciolo della questione che ha spaccato la Procura e che ha convinto il pm Guido a fare un passo indietro.
Nell’indagine sono coinvolti i generali Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex tenente colonnello Giuseppe De Donno, l’ex ministro dc Calogero Mannino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano e Nino Cinà, il supertestimone massimo Ciancimino. E per ultimo anche l’ex ministro Nicola Mancino. Possibile il coinvolgimento di altre persone su cui si sta facendo una valutazione tecnico-giuridica.
Ci fu davvero un accordo fra pezzi delle istituzioni e i boss per frenare la stagione stragista? Una domanda cui la procura di Palermo cercherà di dare una risposta. Ma non lo farà compatta. Il 12 marzo 1992 viene ucciso Salvo Lima. (su questo fronte indaga il sostituto procuratore Francesco Del Bene). Secondo i pm fu il primo atto della stagione stragista. La prima reazione della mafia alla batosta del maxi processo. Poi, l’eccidio di Capaci, seguito dai contatti fra don Vito Ciancimino e i carabinieri del Ros. De Donno e Mori volevano stanare i latitanti oppure fermare la mano dei killer? Fu o meno un tentativo di salvare i politici condannati a morte, a cominciare da Mannino? Borsellino, sempre secondo la Procura, capisce che lo Stato tratta e si mette di traverso. Sarà ammazzato pure lui, come Giovanni Falcone. A quel punto nel ’93 Ciancimino viene posato e l’uomo della trattativa diventa Dell’Utri. Finisce in galera Totò Riina, venduto , secondo l’accusa, da Provenzano. E Binu diventa impunito. Ha un salvacondotto per muoversi liberamente tanto che nel 1995 – e di questo si parla nel processo Mori – nonostante una soffiata Mori non lo avrebbe arrestato.