PALERMO – Dice che il suo “non è un addio, ma un arrivederci”, bacchetta i colleghi “che si espongono troppo poco”, ai quali addebita “la colpa della sovraesposizione mediatica del dottore Ingroia”, lancia una gravissima accusa a “una parte del Paese che non vuole la verità sulle stragi” e soprattutto annuncia: “Dal Guatemala non farò mancare la mia voce e la mia presenza. Guarderò sempre l’Italia e la Sicilia, e visto che sono anche un giornalista ne scriverò”. Al Festival della Legalità va in scena l’Antonio Ingroia show: il magistrato, che sta per trasferirsi in Guatemala dove ricoprirà un incarico per conto dell’Onu, è stato intervistato da Riccardo Lo Verso del mensile “S” nell’ambito della quinta giornata della rassegna in corso a Villa Filippina, a Palermo.
“Il conflitto di attribuzione? Legittima scelta di Napolitano”
Il clou del dibattito è stato toccato con le domande sulla Trattativa: “L’aver sollevato il conflitto di attribuzione – ha detto il magistrato – è una legittima scelta del Quirinale su un punto controverso della Costituzione. Su questo argomento doveva intervenire il Parlamento: l’imperizia della politica ha determinato un intervento di supplenza della Consulta”. Del resto, per Ingroia, “Quando si applica la legge tenendo la schiena dritta, senza guardare in faccia nessuno, è normale andare incontro a polemiche e ostacoli”. I media, invece, finiscono sul banco degli imputati: Ingroia ha invitato gli studenti a non fidarsi “delle ricostruzioni distorte delle inchieste sulla Trattativa. Sarà un processo foriero di tensioni: guardate ai fatti, non alle versioni delle parti in causa”. A partire dalle telefonate di Napolitano: “Quelle intercettazioni – ha spiegato il procuratore aggiunto rispondendo alla domanda di uno studente – non sono state pubblicate perché nonostante tutte le maldicenze sulla Procura di Palermo abbiamo imposto un fermo segreto sul contenuto, anche se un settimanale ha scritto falsamente di averlo letto. Sono stato trasferito in Guatemala per questo? No, ci lavoravo da anni”.
“Una parte del Paese non vuole la verità sulle stragi”
D’altro canto, secondo Ingroia, siamo all’anticamera della verità. “Una verità storico-politica sui rapporti fra Stato e mafia – ha affermato il magistrato – si prepara ad essere consegnata agli italiani. La storia delle stragi e della Trattativa che è stata sullo sfondo della nascita della Seconda Repubblica finalmente sta appassionando il Paese. Una parte del Paese non vuole la verità sulle stragi, e mi stupirei del contrario: non la voleva vent’anni fa, non la vuole adesso”. Ingroia, però, si sofferma sull’inchiesta dopo essersi concesso una battuta rivolta a Lo Verso che gli aveva appena chiesto di parlarne: “Ecco, ribadiamolo che me l’ha chiesto lei e che non sono io a voler rilasciare dichiarazioni su questa inchiesta, così evito l’ennesimo procedimento disciplinare”.
“Subito la legge anti-corruzione”
Di rapporti fra politica e mafia, comunque, Ingroia non ha parlato solo allacciandosi all’inchiesta in corso a Palermo. “Non tocca a me fare valutazioni specifiche – ha dichiarato rivolgendosi ai giornalisti appena arrivato – però ho la sensazione che non si siano fatti molti passi avanti. Mi auguro che il Parlamento nazionale possa recuperare dove la politica siciliana ha fallito, approvando il ddl anticorruzione”. E a proposito di politici, non è mancata una battuta sull’indagine sulla presunta estorsione di Marcello Dell’Utri a Silvio Berlusconi: “Evidentemente – ha tagliato corto – la Cassazione ha fatto valutazioni diverse dalle nostre. Berlusconi ha preferito rivolgersi a Milano forse perché è di casa. La Procura di Milano, comunque, sarà sicuramente all’altezza della situazione, anzi forse anche meglio di Palermo”.
“Oggi non c’è più una Cupola: la mafia è nella politica e nell’economia”
Il magistrato, poi, ha approfittato dell’occasione per rivolgere un appello ai giovani: “Da voi – ha detto – deve venire una spinta per il ricambio della classe dirigente. Di quella classe dirigente responsabile della presenza della mafia nelle istituzioni. La politica ha preferito chiudere gli occhi ed entrare in contatto con i sistemi criminali, con le cricche e con le cosche”. Perché, secondo il magistrato, “la politica da sola non è affidabile, non potete aspettarvi che faccia un passo avanti decisivo, che decida di fare piazza pulita. La battaglia contro la mafia – ha aggiunto – oggi è molto più difficile, perché Cosa nostra, attraverso la corruzione, si basa sulla connivenza. Mafia e corruzione vanno combattute nello stesso modo perché sono due facce della stessa medaglia”. Anche perché “oggi la mafia non è più quella tracotante dei Corleonesi, fondata sull’ignoranza. Oggi ha adottato un sistema diverso: compie meno stragi e meno omicidi, cercando di dare l’impressione di essere sul viale del tramonto per far calare l’attenzione. Allo stesso tempo, al posto dei mafiosi sanguinari, ci sono colletti bianchi, professionisti, ingegneri, medici. Questa borghesia mafiosa prima faceva affari con Cosa nostra o le prestava consulenza, oggi invece è entrata dentro l’organizzazione. Non c’è più una Cupola, in compenso la mafia è entrata dentro la politica e l’economia”. Non è l’unica differenza col passato: “Rispetto a vent’anni fa – ha osservato Ingroia rivolgendosi ai 1.200 studenti in ascolto – oggi c’è un livello di attenzione molto più alto. Sono nate le associazioni anti-racket e vengono organizzate iniziative, come quella che si tiene ogni anno qui a Villa Filippina, che un tempo non erano ipotizzabili. Allora ci si raccoglieva a parlare di mafia in occasione del lutto. Oggi per catturare l’attenzione non si aspetta il morto”. Una considerazione che fa ben sperare Ingroia: “Quando vedo così tanti ragazzi – ha commentato – penso che il sacrificio di Falcone e Borsellino non è stato vano”.
“Ora chi mi attaccava per fermare le indagini deve gettare la maschera”
Ma ovviamente si è parlato a lungo del suo trasferimento in Guatemala. A partire da un cruccio – la mancata condanna di Totò Riina per l’omicidio De Mauro, contro il quale Ingroia annuncia un ricorso in appello – e da una polemica: “Il mio ufficio – ha attaccato Ingroia – beneficerà del mio trasferimento. Chi finora ha attaccato strumentalmente Ingroia per fermare le indagini dovrà gettare la maschera, facendo capire quale fosse il vero obiettivo, o rinunciare”. Per motivare la scelta Ingroia si richiama a Paolo Borsellino: “In alcuni momenti storici e personali – ha commentato – bisogna sapere quando chiudere un capitolo, in modo non definitivo. Vado in Guatemala per portare la nostra esperienza. Paolo Borsellino nel 1986 o nel 1987 decise di lasciare il pool per andare a Marsala, ed ex post quella fu un’esperienza diversa ma interessante”. La diversità dell’esperienza, del resto, è un tasto sul quale Ingroia ha battuto anche quando una studentessa della scuola media Antonio Ugo gli ha chiesto se fosse stanco: “A volte lo sono, la vita blindata ha dei costi. Quest’anno ho fatto 5-6 giorni di ferie. Forse ho accettato l’incarico in Guatemala anche per avere una parentesi diversa. Il Guatemala non è la civile Finlandia, farò vita blindata anche lì, ma quanto meno cambierò aria e clima e tornerò ritemprato”.
“Io sovraesposto per colpa dei colleghi che invece parlano poco”
Ingroia, comunque, rassicura chi vuole un suo ritorno: “Il mio – ha annunciato – non è un addio, ma un arrivederci. Dal Guatemala, però, continuerò a far sentire la mia voce”. Anche perché chi lo accusa di finire troppo spesso sui giornali, secondo Antonio Ingroia, sbaglia obiettivo. “I magistrati in tv? Lo dico ai miei colleghi: la sovraesposizione mediatica del dottore Ingroia non è colpa di Antonio Ingroia, è colpa degli altri magistrati che non espongono le loro posizioni”.
Antonio Ingroia protagonista della quinta giornata del Festival della Legalità: "I miei colleghi si espongono poco, per questo vado in tv. Napolitano? Legittimo il ricorso alla Consulta. Sull'estorsione di Dell'Utri la procura di Milano farà bene. Tornerò presto, e dal Guatemala farò sentire la mia voce".