Una nostra scuola che chiude per il Ramadan! Forse non succede, forse, ma se succede… È questa l’integrazione? O è forse il paradosso del politicamente corretto a tutti i costi? O è forse la deriva identitaria e culturale a cui stiamo assistendo, inerti, atterriti come siamo dall’eventuale lettera scarlatta dell’intolleranza, dell’ottusità e dell’arretratezza, che certo radicalismo, poco chic e molto urlato, è sempre pronto ad appiccicarci addosso? Me la si appiccichi pure, bella grossa e sul petto, ma io la penso diversamente e non mi taccio.
Le percezioni valoriali
Viviamo un’epoca social mass-mediatica che ha rovesciato ogni percezione valoriale; le conquiste sociali e culturali degli ultimi decenni, che grazie a Dio (e ad Allah … così non si offende nessuno) hanno fatto luce dove prima era buio, sono paradossalmente diventate la causa d’una sorta di oscurantismo alla rovescia. Tutto ciò che è ancorato alle radici storiche, culturali, sociali e religiose del nostro Paese oggi risuona di misoneismo, di ultra conservatorismo, se non di bigottismo, se non d’intolleranza.
La libertà di manifestare il dissenso
Abbiamo consentito agli integralisti di questo progressismo sfrenato di trasformare concetti sacrosanti, come integrazione, rispetto per le minoranze, parità di condizioni et similia, in cappi da cui penzola la libertà di manifestare dissenso. Il dissenso al nuovo mondo corretto (o capovolto, appunto), che include ad oltranza, che vede ponti ovunque e ripulisce i muri dagli spudorati crocefissi, che “figlia” senza cromosomi e odia senza prigionieri, che sogna Pasque senza agnelli e guinzagli senza cani, che pensa liberamente ma bandisce il pensiero critico, che pretende di sapere e chiude scuole per il Ramadan.
Il senso dell’integrazione
Una nostra scuola che chiude per il Ramadan! È integrazione, questa? O è goffo modernismo?L’integrazione è uno dei maggiori indicatori di civiltà evoluta, è ciò che distingue con nettezza il giusto cosmopolitismo dalle miopi esasperazioni nazionalistiche; ed è anche motivo di arricchimento per quei popoli che sanno spalancare le porte alla percezione e rifuggono ogni sorta d’ubbia. Ma una nostra scuola che chiude per l’ultimo giorno di Ramadan (a Pioltello, provincia di Milano) non è integrazione, perché l’integrazione, parafrasando un vecchio adagio, non può non finire dove inizia la libertà dell’integrante.
Tutto il mondo è paese
Non ci sono posizioni di prim’ordine e di subordine, la vera integrazione non può fondarsi che sulla libertà dell’integrato quanto su quella dell’integrante. Essa dev’essere una “integrazione sostenibile”, come l’hanno definita gli stessi musulmani nederlandesi, stigmatizzando la scelta di un college dei Paesi Bassi che ha inviato una mail agli studenti coinvolti in una gita scolastica, informandoli che durante il tragitto in autobus non sarebbe stato consentito loro di bere o di mangiare, nel rispetto degli studenti musulmani…Della serie, tutto il mondo è Paese.
Intolleranza alla rovescia
È integrazione, questa? O è terreno infecondo su cui far attecchire odi e contrasti? Come nel caso, appunto, della scuola di Pioltello, dove ad esser limitato sarebbe l’inalienabile diritto degli studenti non musulmani allo studio. È integrazione, questa? O intolleranza alla rovescia? Qual è il limite? Quali i confini? E quali sono le parole giuste per dire che la penso diversamente senza far cadere giù il mondo?
Il “permesso” di dire no
Questo è il tema. Questa sorta di psicosi di massa, dove non ci si può permettere di dire “no” all’altro, dove “diverso”(sessualmente, culturalmente, religiosamente) è ormai colui che si ritrova “colpevolmente” ancorato alle tradizioni (sessuali, culturali, religiose) e deve stare zitto e muto se una scuola vuol chiudere per il Ramadan, se una coppia gay adotta un figlio, se un crocifisso viene staccato da una parete, se demonizzano una fetta di carne a tavola …
La convivenza col Ramadan
È tutto sdoganato, altro che confini! Ma i confini ci sono e sono quelli italiani, quelli di uno stato laico ma non Mecca-cratico. Da noi non è previsto alcun rosso nel calendario per il Ramadan e, certo, siamo ben lieti di convivere coi musulmani e con il loro Ramadan. Ma scusate, cari signori del Consiglio dell’Istituto comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, ma non sarebbe stato più facile proseguire le lezioni ed esonerare coloro che, per motivi religiosi, intendono osservare in quel giorno il riposo, piuttosto che adeguare la scuola intera all’Islam? In Germania, per esempio, lo hanno fatto.
Il diritto alla festa
Perché qui non si tratta di negare ai musulmani il diritto alla loro festa, ma di non subordinare la nostra scuola al loro credo. Questa non è integrazione! È imposizione, smania di sovrapposizione. È un qualcosa che rischia di sconfinare nella prevaricazione, anche. E non è una questione di orientamento politico e neppure di laicità o meno. Non è una questione ideologica e neppure di sentimento ostile verso i musulmani (ci mancherebbe!); qui si tratta di buon senso.
Chi era Iqbal Masih
Non solo, ma a volerla dire tutta, il mondo capovolto ha scelto la scuola meno adatta per affondare uno dei suoi colpi. Proprio quella che porta il nome di Iqbal Masih, un bambino pakistano che non diventò mai grande, perché morì a 12 anni dopo essere diventato un simbolo della lotta contro il lavoro minorile. Cosa diciamo a quegli scolari che qualcuno non vuol mandare a scuola il 10 aprile? Come raccontar loro che Iqbal Masih, se avesse potuto, ci sarebbe andato pure il 15 agosto, a scuola? Ma delle sue parti altro che Ramadan! Dalle sue parti la scuola è sempre chiusa. Sempre. Non chiudiamola pure qua, del resto è per questo che vengono, no? Accogliamoli, includiamoli, integriamoli. Ma non chiudiamo la scuola.