PALERMO – Distruggere le intercettazioni tra Nicola Macino e Giorgio Napolitano significa violare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ne sono convinti gli avvocati di Massimo Ciancimino che arricchiscono di un nuovo motivo il ricorso in Cassazione contro la cancellazione delle conversazioni fra l’ex ministro e il capo dello Stato.
Secondo i penalisti, Francesca Russo e Roberto D’Agostino, ci troveremmo di fronte ad una “eclatante violazione”. Una tesi che si aggiunge a quella già sostenuta nelle scorse settimane. Entrambe saranno affrontate dai supremi giudici il prossimo 18 aprile. I legali di Ciancimino jr, nel loro ricorso, avevano sostenuto che il provvedimento del gup Riccardo Ricciardi, che aveva ordinato la distruzione delle intercettazioni senza contraddittorio, ledesse il diritto di difesa. Dall’ascolto delle telefonate, intercettate nell’ambito dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, a loro avviso potrebbero trarsi elementi utili alla difesa del loro assistito imputato nel procedimento di concorso in associazione mafiosa e calunnia. Sulle telefonate si è aperto uno scontro istituzionale tra il Colle e la Procura di Palermo culminato in un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta che ha dato ragione al Quirinale sulla distruzione delle intercettazioni.
Ora i due avvocati rilanciano, citando un precedente ricorso del 2010 davanti alla Corte europea: “Ebbene in detto caso, la Corte, dopo aver ricordato che la sua missione consiste nell’appurare se il procedimento, considerato nel suo insieme, incluse le modalità di presentazione dei mezzi di prova, sia stato equo e se siano stati rispettati i diritti della difesa, afferma che ‘Gli elementi di prova devono in linea di principio essere prodotti in presenza dell’imputato ed in pubblica udienza, ai fini di un dibattimento in contraddittorio'”.
Dunque, la distruzione delle intercettazioni non garantirebbe, secondo i legali, un equo processo a Ciancimino: la legge italiana è vincolata dagli obblighi internazionali.