“Il candore delle cornacchie”, opera prima letteraria dal piglio autobiografico, è candidata all’edizione 2013 del premio Strega.
E fin qui, siamo in presenza di una non-notizia.
L’editore è a dir poco misconosciuto: tale Guerini e Associati. E a questo punto abbiamo un quarto di notizia, poiché chi bazzica l’ambiente delle belle lettere sa benissimo che le giurie del premio, da che lo Strega è lo strega, sottopongono le candidature per la kermesse a una scrematura rigorosissima. Basata, si presuppone, in primo luogo sulla qualità del testo – lo Strega è pur sempre il più prestigioso concorso letterario del nostro paese – ma legata, si sussurra, anche al peso e alla fama della casa editrice che il testo lo ha dato alle stampe. A supporto di ciò, rendo nota un’esperienza di prima mano: anni fa ho avuto a che fare con un editore palermitano che si mise in testa di poggiare il labbro sul calice della succitata ambrosia beneventana. Gli fu detto che avrebbe prima dovuto crescere e poi, forse, sarebbe arrivato il suo turno. Legittimo. Ragionevole.
Guerini e Associati sfugge a questa regola non scritta. E così abbiamo un quarto di notizia nel succitato quarto di notizia. Una buona nuova, si direbbe: lo Strega apre agli ultimi arrivati, e si chiama meritocrazia.
Però c’è un però. L’autore de “Il candore delle cornacchie” ultimo arrivato non lo è per niente. Si tratta di Salvatore Cuffaro. Conosciuto come Totò. Definito, dai maligni e dagli affettuosi, “vasa-vasa”. Devo aggiungere chi è stato Cuffaro per noi siciliani? Lo farei, se vivessimo a Milwakee. Ex presidente della regione attualmente ospite delle patrie galere per favoreggiamento alla mafia. Centrista – di più, democristiano della prima acqua – che si pregia, in questo esordio letterario di vaglio, della prefazione di monsignor Rino Fisichella. Astenersi dietrologi.
In ogni caso, questo non è un quarto di notizia e nemmeno un mezzo. Trattasi di notiziona.
Ora, mi sia concesso uno sfogo altrettanto autobiografico, un personale “candore delle cornacchie” (pochissimo il candore). Scrivo ormai da vent’anni, rompendomi la testa su come raccontare la mia versione della verità in romanzi, articoli e saggi. E continuo a crederci, anche se dello Strega conosco solo l’aroma e so che, appena annusato, dà alla testa. Ma uno come me, davanti a una cronaca del genere, che considerazioni può fare?
Vi dico la prima che mi è passata per la mente. Chi narra si rilegge. Ascolta la musica della propria voce interiore. E sulla base di questa procedura, stabilisce dove modificare, correggere, affinare lo stile.
Il buon Totò, nella sua prima stesura, avrà scritto “inverno” per dire “inferno”?
O viceversa?