PALERMO – Si sono lasciati con la certezza di doversi rivedere. Ieri è stato il giudice Marcella Ferrara ad ascoltare la confessione di Maurizio Lipani nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Presto saranno i pubblici ministeri della Dda di Palermo a convocare il commercialista finito ai domiciliari con le accuse di peculato e auto riciclaggio.
Come hanno accertato gli agenti della Dia si è messo in tasca i soldi di due imprese che era stato chiamato ad amministrare dal Tribunale di Trapani. Per sua stessa ammissione il peculato di cui è si è autoaccusato va oltre i 350 mila finora emersi.
Lipani si è detto pentito di avere distrutto la sua vita, personale e professionale. Ha raccontato che ormai da un decennio non incassa le parcelle che gli spettano. Nel corso dell’interrogatorio ha fatto il nome di Silvana Saguto, sostenendo di non avere fatto parte del “cerchio magico” dell’ex presidente delle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Nel 2011 la Procura lo aveva scelto per gestire l’Abbazia Sant’Anastasia dell’imprenditore Francesco Lena (Lena sarebbe stato poi assolto in sede penale e gli furono dissequestrati tutti i beni).
Quando scattò la misura di prevenzione patrimoniale Saguto decise di sostituirlo. Lipani, anche dopo l’inchiesta che ha travolto l’ex presidente, avrebbe continuano a soffrire i tempi lunghi delle liquidazioni. E così ha raccontato di avere deciso di appropriarsi dei soldi con l’obiettivo di restituirli non appena avesse incassato il milione e 200 mila che lo Stato gli deve per le sue prestazioni professionali. Il dato certo è che i soldi presi non erano i suoi e Lipani ha violato i doveri di chi riveste un incarico di pubblico ufficiale.
Pur non godendo della fiducia di Saguto il commercialista si era comunque guadagnato la stima di altri magistrati. Lui stesso, sentito come testimone in un processo a Palermo, nel 2014 spiegò di avere “una settantina” di incarichi ricevuti dai “tribunale di Palermo, Messina Reggio Calabria e Trapani”.
Ecco perché la sua confessione rischia di aprire una voragine investigativa. Ad esempio a Lipani il Tribunale di Reggio Calabria aveva affidato nove società sequestrate e confiscate all’ex deputato e armatore Amedeo Matacena. Tra queste c’era la compagnia marittima Amadeus spa. Dai depositi bancari del colosso della navigazione Lipani ha prelevato più di 180 mila euro, girandoli su conti correnti intestati a se stesso e alla moglie.
Su un altro conto corrente personale sono transitati 137 mila euro di altre amministrazioni giudiziarie. Da qui la certezza dei pm di dovere interrogare di nuovo Lipani, ma anche la necessità di stoppare ogni suo possibile tentativo, al di là dei buoni propositi di collaborazione, di inquinare le prove.
Il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Francesca Dessì e Gianluca De Leo avevano chiesto l’arresto, il gip ha ritenuto sufficiente la detenzione domiciliare. La Procura ha fatto subito ricorso al Riesame per chiedere l’aggravamento della misura cautelare.