"Io, siciliana lontana, sto male | per la mia terra uccisa dal fuoco" - Live Sicilia

“Io, siciliana lontana, sto male | per la mia terra uccisa dal fuoco”

La foto scattata dal profilo facebook

Una devastazione continua. E un punto di vista diverso. Davvero è meglio andare via?

Gli incendi
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3 min di lettura

Che cos’è la bellezza? Possiamo considerarla una compagna di strada superflua della necessità? Oppure è anch’essa necessaria? E quanto, invece, stiamo perdendo, senza rendercene conto, in questa stagione di fiamme e lacrime, ogni volta che un centimetro del nostro mondo va in fumo? Delle cronache incendiarie ci colpiscono giustamente la paura di chi scappa via da casa, il sudore degli eroi invisibili impegnati nello spegnimento e la protervia dei criminali con l’accendino. Ma chissà che non ci sfugga un altro dato altrettanto importante.

Alba La Calce, palermitana di mare aperto, vive in Francia da qualche anno. E’ tornata per le vacanze nella sua Sicilia. E ha scritto su Facebook, ieri, d’impeto, corredando tutto con una foto quasi impressionista: “Sulla strada da Menfi a Palermo (lo scorrimento veloce Palermo -Sciacca), un rogo dopo l’altro, un incendio dietro l’altro. E non soffia nemmeno lo scirocco. Era stata una giornata bellissima. Ma questo ritorno a casa l’ha avvelenata, come un velo nero che si posa sugli occhi per spegnere tutta questa nostra bellezza”.

E’ un post intenso. E vogliamo assumerlo come punto di vista, come approfondimento, perché contiene una lezione da mandare a memoria.

Alba al telefono ha una voce garbata e appassionata. Come coloro che tornano, non sai mai quale sia il distacco più netto: se essersene andati, se ritornare e ripartire, subendo ogni volta lo choc di una piccola morte.

“Non so se stare lontani significhi acquisire un altro sguardo. Credo che la distanza offra un occhio più attento per la meraviglia che abbiamo, perché ti rendi conto di ciò che la Sicilia potrebbe essere, ma non è. Io ero molto arrabbiata quando vivevo qui e mi dispiace osservare che troppe cose non sono mutate. Infatti, uno pensa: forse ho fatto bene a prendere l’aereo. E’ una sofferenza”.

Ma, in quella sfumature di voce, in quel timbro che nasconde un doppiofondo di futuro e di strade lasciate dietro le spalle, c’è come l’evidenza di una comune speranza e di una condivisa sconfitta. La speranza, comunque, di un risveglio. La sconfitta che appartiene, per diversi motivi, a coloro che vanno e a coloro che restano.

“Gli occhi di chi è distante – continua Alba – hanno un approccio differente. Amo alla follia Palermo perché è in potenza la città più bella del mondo. Ma poi vado alla Palazzina Cinese e, lungo i viali, trovo pannolini usati, escrementi e cassonetti straripanti. L’ho pure fotografato come promemoria: un pannolino sporco a due passi dal monumento. A me è sembrato atroce. Ma voi come fate a sopportarlo?”.

Ce ne accorgiamo e passiamo oltre: quello che per chi torna è scandalo, per chi resta ha assunto la fisionomia della normalità. E poi il demone rossastro che sta distruggendo tutto, che ingoia fiato, colline e vegetazione, imponendo una cartolina perenne dall’inferno.  “Un velo nero che si posa sugli occhi per spegnere tutta questa nostra bellezza”.

Il velo che ci ha tolto pure la capacità di immaginare un domani ripulito dalle scorie. E ci vogliono, appunto, certi occhi sensibili che rincasano per darci la dimensione esatta di un tesoro smarrito per sempre.


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