CATANIA – Bonzio si laurea con una tesi di storia del cinema, approda a Milano dove collabora con l’agenzia internazionale “Reuters” occupandosi di cronaca, cultura, hitech. Incassa pure qualche soddisfazione, grazie alla pubblicazione dei suoi pezzi su riviste quali The Guardian, The Independent. Tutto fila liscio o quasi. 30 anni dopo acquisisce una consapevolezza, vuole inseguire un sogno che lo porterà 6 mesi a Silicon Valley con moglie e figli. Lì inizia un’avventura che gli permetterà di intervistare scienziati ed imprenditori italiani che hanno portato a compimento il loro sogno con coraggio e determinazione.
La svolta, facendo tesoro del suggerimento di due amici, un imprenditore e un professore: il centro del progetto non sono le storie in sé ma il collegamento tra queste e la modalità di trasferimento all’interlocutore. E’ l’evoluzione del mestiere di giornalista. “Occorre raccontare ai giovani storie vere, di uomini e donne in gamba che arrivano al successo economico non facendo i calciatori o le veline ma ragionando fuori dagli schemi, out of the box, come sono solito dire”.
Intervista su intervista, Bonzio costruisce il sito web, una raccolta delle storie di italiani di successo. Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, premiato dal presidente Obama e Carlo Gentile, padre adottivo di Carlos Montezuma, il primo indiano laureato che assurgerà a pioniere dei diritti civili degli indiani. E ancora, Roberto Crea, il padre dell’insulina e Fabrizio Capobianco, oggi ceo di Funambol, il più grande progetto open source nel mondo wireless con oltre un milione di download. E pensare che quando, a soli 23 anni preconizzava l’importanza del web, pochi gli prestarono ascolto.
Molti i nomi di grandi imprenditori e di eccellenti professionisti che oggi occupano posizioni di prestigio in società come Google, Ibm, Apple. Nemo profeta in patria, ci ricordano gli antichi latini. Ed è una storia che si ripete, ahimè. E chi rimane o rientra nel belpaese, se riesce nell’impresa titanica di realizzare grandi risultati si muove controcorrente, quasi da avanguardista, tra mille ostacoli e senza la protezione dei media tradizionali che non manifestano interesse dinnanzi a scoperte pluripremiate all’estero. “Il proprio successo non consiste nel togliere qualcosa a qualcun altro – afferma Bozio – anzi, il successo di uno crea benessere per molti. Peccato – prosegue – che questo ragionamento sia incomprensibile per gli italiani”.
Roberto, quali sono state la conseguenze del tuo <istillare ottimismo>?
“Tra i tanti casi, ricordo in particolare quello di un ragazzo di Bologna, figlio della generazione di plurimasterizzati, che all’indomani degli incontri ha realizzato un format sulla formazione raccontando con modalità simili alle mie, il percorso della sua generazione.
E cosa sortisce l’ispirazione dei tuoi racconti?
“Magari per chi ha un posto di lavoro rischio di essere <deprimente> perché troppo lontano dalla realtà che vive. Per questo sto lavorando in affiancamento ad esperti sulla formazione che si preoccupano di tradurre l’espressione “ragionare fuori dagli schemi”in strumenti concretamente utili”.
Racconta, con l’ausilio di immagini che catturano l’attenzione della platea, di italiani eminenti, uomini e donne (molte) con menti capaci e dotati di grande versatilità che invece di fare squadra nel loro paese si sparpagliano nel mondo. Perché accade questo?
E’la sindrome <della pastasciutta> come la definisce Roberto Bonzio. In sostanza, il suo pensiero può sintetizzarsi così: se mezzo mondo ama l’Italia e il cibo italiano, perché mai l’italiano dovrebbe testare pietanze diverse? Perché dovrebbe aprirsi ad una nuova cultura?
E’ una “rendita da posizione”, tanto cara a noi italiani adagiati e arrendevoli. Come un giovane può emergere nella società odierna?
“Innanzitutto, conoscere l’inglese ed andar all’estero per capire cosa va cambiato del tuo paese perché conoscere e scambiarsi le storie serve a non cedere ad un atteggiamento di disperazione e scetticismo. Pensiamo a Nelson Mandela, che per 25 anni ha vissuto in uno spazio 3×2. Se ce l’ha fatta lui… Non bisogna rassegnarsi”.
Come sganciarci dalla zavorra che, ahimè, ci tiene ancorati al passato?
“Le storie di uomini che ce l’hanno fatta possono ispirarci e sono fondamentali; ognuno di noi può ispirare gli altri attraverso i nuovi strumenti della tecnologia e l’effetto virale sarà straordinario peccato che siamo sovrastati da una forma di rassegnazione, provocata da modelli sbagliati che vengono veicolati”.
L’ineluttabilità vs capacità di ognuno di noi, dunque.
Catalizza l’attenzione, Bonzio soprattutto quando preme sull’acceleratore ricordando “L’elogio dell’errore”di Tim Harford. Poi, con fermezza, pronuncia le seguenti parole: “Cari ragazzi, abbiate il coraggio di osare, di sbagliare per poter creare innovazione”.
A chiusura, il ringraziamento speciale da parte del presidente Perdichizzi, per lo story telling estremamente positivo e contagioso. “Dell’Italia – afferma – raccontiamo sempre storie a tinte fosche ed invece l’appuntamento di oggi è la testimonianza che se lavoriamo insieme da <pionieri di frontiera> riusciremo a rimuovere le macerie culturali”.