PALERMO – Continua a difendersi dall’accusa di avere fatto propaganda a gruppi legati all’integralismo islamico Kadigha Shabbi, 45 anni, la ricercatrice libica fermata a dicembre indagata per istigazione a delinquere in materia di reati di terrorismo. Oggi la donna, per cui il gip ha disposto l’obbligo di dimora e non il carcere come chiesto dai pm, è stata sentita dal tribunale del Riesame davanti al quale la Procura ha appellato la decisione del giudice delle indagini preliminari, ritenendo la misura disposta assolutamente inidonea.
Al collegio, che dovrà decidere se accogliere il ricorso, il pm Geri Ferrara ha depositato nei giorni scorsi una serie di atti di indagine che aggraverebbero la posizione della donna che oggi ha ribadito, però, di non avere mai supportato l’Isis. Tra queste la foto ricevuta, tramite cellulare, da una amica libica che ritrae il figlio di dieci anni della donna con indosso una cintura carica di esplosivo. Acquisite dal pc della donna e depositate, dopo una consulenza informatica, anche immagini di combattenti islamici davanti a cadaveri mutilati e di una stanza col pavimento pieno di tracce di sangue. Il materiale fotografico non sarebbe stato scaricato da internet, ma inviato, in uno scambio di immagini dell’orrore, con esponenti dell’organizzazione Ansar Al Sharia Libya, antagonista del governo regolare libico, inserita dall’Onu nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. I giudici del Riesame si sono riservati di decidere sul ricorso dei pm. L’ordinanza è attesa per i prossimi giorni.