La facile arte del delitto | Palermo e la violenza - Live Sicilia

La facile arte del delitto | Palermo e la violenza

Il degrado culturale, la mancanza di riferimenti, la crisi, la mafia che regola il caos per mostrare che funziona meglio dello Stato. A ciascuno le proprie valutazioni con un punto di partenza, freddo e impietoso come la cronaca che ci consegna una città dove, forse, prima ancora di essere normale, ammazzare qualcuno è diventato facile.

PALERMO – “Assuefazione” è la parola che si sente ripetere a magistrati e investigatori. Assuefazione alla violenza e alla morte come sua estrema conseguenza. E quando la violenza diventa “normale” accade che un uomo, pure lui “normale”, prema il grilletto e uccida un padre di famiglia che lavora in una pompa di benzina.

Si può condividere o meno il ragionamento; ci si può, o forse ci si dovrebbe, misurare con l’analisi sociologica di certi fenomeni; si può condividere o meno che la violenza sia figlia del degrado culturale o della mancanza di riferimenti (come hanno detto in questi giorni gli addetti ai lavori), oppure della crisi economica; si può ipotizzare che la mafia regoli il caos per mostrare che Cosa nostra funziona meglio dello Stato. A ciascuno le proprie valutazioni con un punto di partenza, freddo e impietoso come la cronaca che ci consegna una città dove, forse, prima ancora di essere normale ammazzare qualcuno è diventato facile.

I morti di mafia li abbiamo contati a centinaia sulle nostre strade. Negli ultimi tempi le eliminazioni sono diventate chirurgiche. Cosa nostra, però, quando è stato necessario ha ricordato a tutti, che chi sbaglia paga. Davide Romano fatto ritrovare dentro il bagagliaio di una Fiat Uno a pochi metri da corso Calatafimi. Giuseppe Calascibetta crivellato di colpi a Belmonte Chiavelli. Francesco Nangano, ucciso in via Messina Marine appena uscito dalla macelleria. Giuseppe Di Giacomo massacrato alle sette di sera in una trafficatissima strada della Zisa. Sono tutti delitti che chi vive in una terra di mafia finisce per ritenerli ineluttabili. A volte si corre pure il rischio di considerarli “fatti loro”.

Cosa diversa è quando l’assassino è l’uomo della porta accanto. Colui che sveste i panni della normalità per diventare killer, assoldato non da qualcuno ma da se stesso. Da una mente contorta, la sua, che lo spinge a scaricare rabbia e violenza contro un nemico estemporaneo. Lo hanno detto il procuratore Francesco Lo Voi e il questore Guido Longo per il caso dell’omicidio del benzinaio Nicola Lombardo, spostando la questione alla radice – “bisogna capire perché mai un uomo come Mario Di Fiore debba andare in giro armato” – e cioè al degrado della società di oggi.

La cronaca è piena di storie di ordinaria follia, di gialli risolti e di altri casi che non hanno abbandonato il colore del mistero. Qualcuno, in questi anni, ha ritenuto normale o facile, fate voi, affondare per ventisette volte un paio di forbici nella gola di Ninni Giarrusso, la parruccaia di via Dante; fare fuoco sul commerciante di bibite Daniele Discrede mentre teneva per mano la figlia di otto anni; entrare a casa di una prostituta, Anna Maria Renna, e infierire con una dozzina di coltellate sul suo corpo nell’appartamento di via Maggiore Toselli. Misteri irrisolti, come il delitto di Enzo Fragalà, il penalista bastonato a morte sotto il suo studio ad una manciata di metri dal Palazzo di Giustizia.

E poi si sono i casi che, secondo gli investigatori, hanno un colpevole. Come l’omicidio di Salvatore Quartararo preso a pistolettate, nel 2014, dai componenti di un nucleo familiare, i Marra, che difesero il loro onore impugnando un’arma tra le bancarelle del mercatino rionale al Cep. Un mese fa a Brancaccio, si è scoperto che un venticinquenne, Cosimo Geloso, avrebbe lanciato la sua macchina contro un anziano, travolto e ucciso nel tentativo di salvare la nipote diciassettenne, vero obiettivo del folle gesto scambiato a lungo per un casuale incidente stradale. Ed ancora come la triste storia di Aldo Naro, il giovane laureato in medicina ucciso con un calcio alla tempia dal buttafuori di una discoteca, minorenne e reo confesso.

Storie di dolore e morte, di violenza e sopraffazione che non accadono, come ha ricordato il questore Longo, nella periferia di una città sudamericana, ma sotto casa nostra, “a Palermo, una delle più importanti città italiane”.


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