La guerra di Palermo | L'abbraccio del Papa - Live Sicilia

La guerra di Palermo | L’abbraccio del Papa

La visita di Papa Francesco. E il ricordo di un altro grande pontefice.

Semaforo russo
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L’annuncio della visita di Papa Francesco a Palermo, il prossimo 15 settembre in occasione del 25° anniversario dell’uccisione mafiosa di Padre Pino Puglisi, non poteva non emozionarmi se non altro per ragioni personali. Soprattutto, quando ho appreso dell’incontro con i giovani in programma a piazza Politeama, la medesima piazza dove il 21 novembre di 36 anni fa San Giovanni Paolo II incontrò anche lui i giovani palermitani e siciliani. Un ricordo indelebile perché fui io, insieme a un’altra giovane, Maria Chinnici, a porgere il saluto ufficiale al Pontefice.

Avevo 24 anni e ricordo di aver raggiunto il posto trafelato, non rammento il motivo ma ero in ritardo. Finalmente ecco il Pontefice accompagnato dal cardinale Salvatore Pappalardo. Quando toccò a me intervenire, faticai non poco a mantenere la voce ferma e appena terminai mi accinsi, come da protocollo, a raggiungere il Santo Padre per inginocchiarmi e baciare l’anello piscatorio. Non me ne diede il tempo, mi sollevò e mi abbracciò sussurrandomi parole di ringraziamento e di benedizione. Dietro di noi, schierate, le autorità cittadine e regionali espressione di un potere, a quell’epoca in maggioranza limiano, che a breve avrei cominciato a combattere.

Papa Wojtyla fece un discorso in un clima che non solo a me sembrò teso, lui stesso, avendo avuto la possibilità di osservarlo da vicino, mi apparse, all’inizio, teso. Del resto Palermo stava attraversando un momento drammatico. Possiamo facilmente immaginare che il cardinale Pappalardo lo avesse informato direttamente e nel dettaglio, al di là dei canali soliti, di ciò che stava accadendo. Da appena due mesi avevano ammazzato Carlo Alberto Dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, un massacro preceduto da una vera mattanza (Boris Giuliano, Emanuele Basile, Giuseppe Russo, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Michele Reina, Pio La Torre, Mario Francese, solo per citarne alcuni).

Si era in piena guerra e numerosi altri omicidi sarebbero seguiti sino alle stragi del ’92 e del ’93. Eppure Wojtyla in quel contesto bellico, nel quale la Chiesa forse aveva detto troppo poco, nonostante le coraggiose prese di posizione di Pappalardo, non ebbe timore nel richiamarci alle nostre responsabilità. Ben 11 anni prima del famoso anatema rivolto nel maggio 1993 ai mafiosi nella Valle dei Templi – “Lo dico ai responsabili. Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio” – Giovanni Paolo II quel pomeriggio lesse un passaggio esplicito: “Sappiate costruire un futuro ed una società nuovi in cui sia isolata e distrutta la ramificazione dell’atteggiamento mafioso di alcuni, operatori di manifestazioni aberranti di criminalità”.

Oggi Papa Francesco, nel solco del suo predecessore, viene a Palermo per onorare un prete, proclamato beato e presto santo, ucciso da Cosa Nostra in “odium fidei”, in odio della fede e perciò martire. Un sacerdote che senza telecamere al seguito, scorte e distintivi “antimafia” annunciava il Vangelo per le strade di un quartiere dove anche le pietre trasudavano mafia. Verrà a parlare a piazza Politeama ad altri giovani che, se lo vorranno, potranno raccogliere l’esortazione del Vescovo di Roma all’impegno solidale per il bene comune e al rifiuto di ogni logica e pratica mafiosa. Certo, non siamo più nel 1982, quando ancora indifferenza, silenzi, connivenze e sporche complicità tra mafia e salotti-bene, tra mafia e pezzi delle istituzioni ammorbavano l’aria divenuta irrespirabile per gli onesti.

Il cammino, però, è lungo e faticoso. La mafia non è stata sconfitta definitivamente e soltanto nei giovani possiamo riporre la speranza che lo sia presto, per una Sicilia finalmente bellissima. Tanti di noi presenti 36 anni fa in quella piazza animati da passione civile, spesso in solitudine e ora non più giovani, ci abbiamo provato.

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